
Dopo la sua scontata prevalenza nel ballottaggio contro Renzi, il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, contrariamente alle commoventi e sincere dichiarazioni del giovane sconfitto, ha pronunciato un lungo e soporifero discorso della vittoria.
Rinverdendo i fasti del grigiume comunista - ricordo a tale proposito gli interventi fiume degli antichi leader del centralismo democratico, capaci di parlare per ore senza dire sostanzialmente nulla - il neo-candidato premier del centro-sinistra ha riempito i cuori della sua platea di sostenitori con la solita, lunga elencazione di generici intenti con al primo posto, tanto per cambiare, il “lavoro”.
Come se quest’ultimo, secondo una immarcescibile tradizione statalista, potesse scaturire da un atto deliberato della sfera politico-burocratica.
Eppure anche il buon Bersani dovrebbe aver capito che l’unico modo che ha la mano pubblica per aumentare l’occupazione è quello di regalare stipendi, restringendo ulteriormente lo spazio economico della società spontanea, ovvero il principale motore dello sviluppo.
Ma a parte la classica fuffa destinata alle tante anime belle del suo schieramento, almeno in un punto Bersani ha espresso un concetto assolutamente condivisibile. Dicendo di voler vincere le prossime politiche «senza raccontare favole al popolo», il capo dei democratici mi ha trovato totalmente d’accordo.
Il problema per lui, però, nasce proprio dalla composizione del suo eterogeneo schieramento, in cui attraverso una ridicola carta d’intenti si dovrebbe riuscire a priori a bloccare ogni forma di dissenso nell’ambito di un futuro governo. Come si fa, infatti, a evitare di raccontare favole quando si accetta una alleanza con una sinistra radicale che vorrebbe uscire dalla crisi attraverso una ricetta improponibile?
In particolare, oltre al partito di Vendola, c’è una forte componente pure dentro il Pd che si aspetta di restare in Europa e nell’euro inasprendo ulteriormente la ricetta politica che, in verità, un po’ tutti hanno applicato negli ultimi decenni: più stato, più spesa e più tasse, magari facendo finta di colpire solo i ricchi. p>
Ma proprio se non si vuole continuare a raccontare la favola della botte piena e della moglie ubriaca, Bersani non può pensare di illudere chi spera di avere un sistema pubblico che dia maggior protezione, creando magari altri milioni di posti di lavoro inventati, restando dentro i vincoli finanziari dell’euro.
Da questo punto di vista, o si dichiara default, si torna alla lira e si riprende la vecchia, catastrofica propensione inflazionistica di una politica che distribuisce a piene mani carta straccia e povertà, oppure si spiega al popolo che sul piano dell’intervento pubblico nel suo complesso il sistema è già andato oltre ogni ragionevole limite, se intendiamo restare all’interno della moneta unica. Tertium non datur, caro Bersani.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:07