
Uno dei gravi problemi di questo disgraziato Paese è rappresentato dalla dominante presenza di una cultura economica di stampo keynesiano, con la quale si ritiene dogmaticamente che l’unico modo per rilanciare la crescita e lo sviluppo passi per una continuo intervento dello Stato sul piano della spesa pubblica. E tra i più accreditati teorici di questa, a mio avviso, fallimentare dottrina c’è lo storico dell’economia Giulio Sapelli, il quale viene masochisticamente invitato in molti talk show televisivi a spiegare la bontà delle sue ricette.
Proprio domenica scorsa, nel corso di In Onda (trasmissione di La7), il nostro ha lasciato di stucco i coraggiosi liberali in ascolto sparandola veramente grossa.
In sostanza, ha proposto di istituire una sorta di autorità transnazionale per la reindustrializzazione dell’Europa. Un organismo rigorosamente pubblico che, parole sue, sia in grado di coordinare le imprese private che operano nei vari settori, evitando le deleterie lotte intestine che connoterebbero soprattutto le nostre piccole e medie aziende.
Evidentemente se a Giulio Sapelli viene in mente nientemeno che riesumare il fantasma del Gosplan sovietico - ossia la Commissione statale per la pianificazione economica - per rilanciare l’industria italiana ed europea, ciò significa che egli non ha alcuna fiducia nella forza e nella capacità spontanea della società, la cosiddetta mano invisibile di smithiana memoria, di migliorare le cose. E sebbene i dogmi applicati dell’interventismo statale ci stiano portando inesorabilmente verso il baratro del fallimento, i loro falsi profeti vengono spesso chiamati ad esporli pubblicamente senza un reale contraddittorio.
Tanto è vero che nel corso del citato programma, a far da contraltare alle deliranti teorie del Sapelli vi era il sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti, il quale, senza batter ciglio di fronte alle fantasiose teorie sapelliane, ha candidamente ammesso di esser anch’egli un fervente sostenitore della visione keynesiana.
Dunque, se pure dalle stanze alte del governo tecnocratico emana l’idea che solo attraverso una azione deliberata della burocrazia pubblica sia possibile organizzare lo sviluppo, non ci stupisce affatto che il nostro Paese chiuderà il 2012 in grave recessione, con scarse prospettive di ripresa anche per l’anno successivo. Ma ciononostante il mainstream mediatico non sembra riuscire a proporre altra via d’uscita alla crisi che quella, pur in diverse salse, di un sempre più massiccio intervento dello stato. Intervento che, in ultima analisi, non può che legare ancor più strettamente le mani a chi avrebbe ancora un barlume di voglia di intraprendere. Non ci resta che emigrare.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:51