
Il 70% delle risorse economiche di cui dispone la Difesa sono destinate attualmente alla voce personale, lasciando all’operatività (Esercizio) il 12% e all’Investimento il 18%.
L’obiettivo, stabilito dal Ddl a firma del ministro della Difesa Di Paola, nel quadro del necessario snellimento degli organismi delle Forze Armate, è di correggere questo sbilanciamento nella ripartizione delle risorse che attualmente penalizza la possibilità di attuare politiche di investimento efficaci a sostegno dell’industria nazionale degli armamenti e degli equipaggiamenti militari in un settore così vincolato alla competitività ed all’alta tecnologia.
Si tratta di un traguardo ambizioso da raggiungere entro il 2024 attraverso un processo di ristrutturazione del comparto militare che ne riqualifichi compiti e ruoli, contribuisca a ridurre la spesa pubblica e ad allineare le Forze Armate al criterio europeo di suddivisione della spesa, attraverso una ripartizione dei costi in modo più razionale: il 50% della spesa al personale ed il 25% agli altri due settori. L’intervento, considerato che dal 2007 al 2012 il costo del Personale della Difesa è cresciuto di circa 800 milioni di euro, mentre le voci Esercizio ed Investimento sono scese di 800 milioni ciascuna, non era più procrastinabile in un momento in cui all’Italia è richiesto uno strumento militare di alto livello qualitativo e tecnologico integrabile al sistema di difesa dell’Unione Europea e della Nato ed in grado di assicurare efficacia e sicurezza in un quadro geostrategico che convive con i rischi del terrorismo internazionale ed è segnato dalla fluidità che caratterizza gli equilibri politici dei territori mediorientali dove maggiormente è presente il nostro paese con missioni militari.
Sull’attuale sbilanciamento nella ripartizione dei costi della Difesa, d’altronde, la stessa Nota Aggiuntiva allo stato di revisione della difesa 2012 è chiara: “il rischio è quello di raggiungere in breve tempo un default dello strumento militare” con la conseguenza di “un annullamento della sua capacità di output operativo”. La necessità di sfoltire quella struttura burocratica, il cui mantenimento ha rappresentato la parola d’ordine dei bilanci degli ultimi decenni, è del tutto evidente come lo è l’urgenza di invertire il devastante trend che ha consentito fino al 2010 di operare i tagli prevalentemente sulla voce Esercizio e Investimento e di far lievitare l’incremento della spesa per il Personale fino al 70%.
Un compito senz’altro temerario ma indispensabile per garantire una maggior qualità e tecnologia dello strumento militare senza comportare costi aggiuntivi per le casse dello Stato perché compatibile con la politica di riduzione della spesa pubblica che stabilisce nello 0,84% del Pil il costo previsto per la Difesa, sebbene negli altri paesi europei essa tocchi l’1,61%.
Le linee su cui si incardina il drastico intervento di riorganizzazione finanziaria delle Forze Armate sono ben definite. L’assetto strutturale e organizzativo del ministero della Difesa prevede lo snellimento degli organismi di vertice e di responsabilità.
Lo snellimento toccherà il 30% per gli ufficiali e ammiragli e il 20% il resto del personale militare dirigente. Considerando la progressione economica delle retribuzioni è del tutto evidente quanto questa voce contribuisca all’effetto moltiplicatore della spesa militare. Ad esso si aggiungerà una maggiore definizione della centralità del comando a garanzia di una maggiore comunicazione ed efficacia operativa e (i Capi di Stato Maggiore di Forza Armata e il Comandante dei Carabinieri generale dell’Arma eserciteranno secondo le direttive del Capo di Stato Maggiore della Difesa), l’accorpamento di molte strutture operative logistiche e formative oltre all’unificazione delle funzioni.
In questo modo, entro sei anni, è prevista la contrazione del 30% delle strutture organizzative, a partire dai comandi operativi a quelle sanitarie fino agli immobili militari e la dismissione o la valorizzazione degli immobili militari.
È anche previsto che la Difesa acceda a strumenti di carattere negoziale per garantire il recupero dei costi sostenuti, in particolare dall’Aeronautica, nei servizi di assistenza al volo sugli aeroporti militari aperti al traffico civile ed in genere in tutte le attività di supporto oneroso ad altri soggetti pubblici o privati.
Ma il settore più interessato dai tagli è quello del personale militare dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica, per cui è prevista, sempre entro il 2024, una riduzione di 30.000 unità che consentirà di scendere da 181.538 (di cui 143.909 in servizio permanente e 37.629 no) a 150.000 persone. Una sforbiciata di 30.798 unità cui dovrà corrispondere anche il ridimensionamento dei reclutamenti che dovrebbe attestarsi sui 24.858 elementi.
Il fulcro dell’operazione resta tuttavia la previsione di un transito di parte del personale militare nei ruoli del personale civile del ministero della Difesa ma anche delle pubbliche amministrazioni. Il passaggio che dovrà interessare non meno di 22.669 persone mentre i militari non in servizio permanente dovranno essere ridotti di 2.929 unità. Lo sfoltimento dei 29.525 uomini del personale civile invece dovrà arrivare fino a 20.000 unità. Una sforbiciata agli organici, questa, che attesterà la spesa a 7,4 miliardi di euro contro gli attuali 9,6 miliardi. Un notevole risparmio di risorse, dunque, svincolate per l’esercizio, per l’investimento e l’ ammodernamento dei sistemi d’arma e dei mezzi a favore di un innalzamento della qualità e del livello tecnologico. Meno strumenti ma di maggior qualità, dunque.
Non è la prima volta, in realtà, che, di fronte all’incremento del personale, si ventila la possibilità di un ricollocamento degli elementi militari in esubero nella Pubblica Amministrazione. Quanti militari in eccedenza, giovani preparati e con saldi riferimenti etici, potrebbero confluire ad esempio nell’Enac o nell’Enav, con un adeguato addestramento professionale, senza comportare oneri suppletivi per l’apparato statale? Finora l’operazione non è andata in porto. Hanno vinto le consolidate resistenze corporative e i veti incrociati a difesa di quella discrezionalità decisionale e gestionale nel reclutamento che rappresenta una garanzia dell’esercizio del potere. Basti menzionare i malumori sollevati all’interno del corpo di Polizia dalla già esistente normativa che prevede di supplire alla carenza di organico con i militari e che fornirebbe l’opportunità di risparmi certi oltre a garantire efficienza grazie all’impiego di personale addestrato a tutelare l’ordine pubblico nelle missioni estere e che non c’è ragione per cui non dovrebbe farlo anche in Italia. Il provvedimento del ministro Di Paola potrebbe essere un buon presupposto ed un primo passo verso lo scardinamento di queste ingessature corporative che, da sempre, contraddistinguono la maggior parte dei settori della Pubblica Amministrazione. E un ottimo strumento di contrasto al decadimento dell’efficienza operativa dello strumento militare cui è legato l’indebolimento nazionale nei rapporti bilaterali. Sarebbe folle, infatti, rinunciare ad investimenti che consentano all’industria nazionale di entrare con i propri sistemi da coprotagonista nell’attuale mercato. È la velocità a cui avanza la tecnologia nel settore ad imporre un’accelerazione. Come dimostra il ruolo assunto da nostro paese negli ultimi programmi internazionali, dai Tornado agli Eurofighter ma anche per i Caccia F35 dove il contributo italiano per componentistica avionica è collegata ed imprescindibile per i partner. In attesa che l’indiscusso livello di eccellenza raggiunto dall’Italia nell’industria aeronautica non si limiti all’opzione obbligata dei programmi multinazionali, che garantiscono la condivisione dei costi ed un mercato interno cosiddetto “captive’’, ossia obbligato, ma avvii presto anche quella politica di investimenti nazionali che le capacità tecniche del nostro paese permettono. Come dimostrato dalla validità e affidabilità delle scelte tecnologiche fatte dalla Difesa italiana nel passato più e meno recente.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:57