La demagogia dei
Così come accadeva durante il crollo della cosiddetta prima Repubblica, anche oggi vi è un gran proliferare di iniziative politiche basate sulla ricerca di quel sempre più chimerico partito dei puri e degli onesti. C’è chi lo fa su base anagrafica, come Matteo Renzi, e chi pensando di sostituire in blocco l’attuale classe dirigente con persone provenienti dal popolino. Grillo e tanti altri nuovi sognatori del bene comune sembrano prestar fede, anche per motivi di tornaconto personale, a questa seconda illusione. Resta il fatto, come sostiene molto spesso il mio grande amico Carlo Lottieri - autentico maestro di liberalismo - che non possiamo certamente fare l’esame del sangue a chiunque si dichiari pronto a perseguire solo ed esclusivamente gli interessi altrui.
 Comunque sia, tutto questo si fonda su una pretesa popolare assai comprensibile ma che, analizzata su una piano logico-razionale, non può che riportarci al punto di partenza, soprattutto se applicata all’interno di un sistema affetto da uno strisciante collettivismo. In sostanza si vorrebbe che qualcuno, in questo caso la classe politica, perseguisse in modo onesto e scrupoloso i nostri interessi spendendo i soldi degli altri. Il che, dimensionato sulla base dell’attuale controllo di risorse operato dalla politica, starebbe a significare che ognuno di noi dovrebbe consegnare oltre metà dei propri redditi ad un signore il quale, autocertificando la propria probità, ci promettesse di utilizzarli solo per i nostri bisogni. Ebbene, credo che nessun individuo dotato di un minimo di buon senso affiderebbe ad altri i propri quattrini con la speranza che questi vengano poi spesi per i propri interessi meglio di quanto farebbe egli stesso. Eppure è proprio su questa base che l’attuale sistema politico continua a chiedere al popolo di assoggettarsi ad una tassazione folle, più alta di quella che sopportarono i kulaki russi all’indomani della  famosa rivoluzione d’ottobre. Nella sostanza, la vecchia e nuova politica tendono ancora a promettere ai cittadini di questo disgraziato Paese di occuparsi di ogni aspetto del vivere, dalla culla alla tomba, in cambio di un modico 55% del prodotto interno lordo. Qualcosa come 830 miliardi di  all’anno, euro più euro meno.
Ora, da incallito liberale, forse la svolta potrebbe passare non per un turn over di esattori (da questo punto di vista se ad amministrare un stato che tassa le piccole e medie imprese al 68% c’è un Monti o un Renzi mi cambia ben poco), bensì attraverso una drastica riduzione di quanto mi viene estorto da una sfera politico-burocratica che si è dilatata oltre ogni ragionevole limite.  Per quel che mi riguarda il nuovo io lo trovo guardandomi indietro, ai tempi in cui la nostra economia cresceva quasi come l’attuale Cina e la mano pubblica gestiva meno della metà di quanto avviene oggi. E sotto questo profilo ridare alla società spontanea una buona parte di quanto gli viene sottratto in nome e per conto di uno Stato che socializza le perdite e fa godere i profitti solo ai membri delle tante caste protette rappresenterebbe una vera svolta epocale.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:00