Le primarie e i rischi per la sinistra

Se Atene piange, Sparta certamente non ride. Con questo celebre detto si può efficacemente sintetizzare la condizione politica dei due più grandi partiti di un Parlamento giunto quasi alla sua scadenza naturale. E se il Pdl appare sempre più dilaniato da lotte intestine, da minacce di scissioni e da una presunta ridiscesa in campo di Berlusconi il Partito democratico non sembra godere di una salute migliore. In particolare, entrato quasi masochisticamente nel cono d’ombra delle primarie, questo fritto misto di catto-radical-riformisti in salsa rossa si trova in una condizione di estrema incertezza.

Incertezza in primo luogo sul nome che uscirà vincitore da questa confusa consultazione, di cui ancora non si comprendono le regole, mantenute ad uno stato liquido dai vertici di un partito che, evidentemente, ama restare in mezzo al proverbiale guado su ogni questione. Ed il nome del personaggio che otterrà l’investitura a guidare la altrettanto liquida coalizione di centro-sinistra sarà decisivo per stabilire due cose di fondamentale importanza ancora in forse: il programma di governo e le alleanze elettorali. E sotto questo profilo risultano piuttosto surreali le primarie di  una coalizione la quale, a seconda del vincitore, vedrà la prevedibile esclusione di una parte degli attuali partecipanti alla stessa consultazione. È infatti noto che se dovesse prevalere il rottamatore Renzi - a mio avviso nettamente favorito in una competizione aperta e senza i trucchi notarili predisposti dai soloni del Pd - Sel e molti spezzoni radicali,interni ed esterni al Partito democratico, sarebbero costretti a fare le valige.

Mentre nel caso di una affermazione di Bersani, garante dell’alleanza con un Vendola che spara continuamente bordate contro l’agenda Monti, è assai probabile la fuga verso altri lidi di quella folta componente “moderata” del centro-sinistra che vorrebbe prendere le distanze da una sinistra massimalista che già adesso promette al paese di uscire dalla crisi con più stato e più tasse. D’altro canto, proprio sulla questione del programma una affermazione del sindaco di Firenze farebbe letteralmente deflagrare il Pd e l’attuale, confusa cornice di alleanze. Seppur all’interno di una indigeribile marmellata di tesi e proponimenti piuttosto contraddittori, il modesto tasso di liberalismo presente nell’orientamento di Matteo Renzi lo rende fin da ora incompatibile con una buona parte dell’attuale centro-sinistra. E ciò, a meno di rovinose giravolte gattopardesche, costringerebbe quel che resta del Partito democratico a ridisegnare completamente il quadro del suo impegno elettorale. Mica stiamo parlando di bruscolini.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:53