A sinistra poche idee ma confuse

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum, recita un famosa locuzione latina. E in effetti, osservando la propaganda sostenuta in questi giorni di caos politico giudiziario dalla sinistra italiana e dalle sue grancasse mediatiche, ci troviamo di fronte all’ennesimo abbaglio preso dagli eredi di quello che è stato il più grande partito comunista dell’Occidente. 

In breve, approfittando soprattutto dello scandalo che ha sconvolto la Regione Lazio, le truppe cammellate di uno schieramento dilaniato dalle lotte intestine per la leadership stanno ripetendo in fotocopia la stessa strategia mediatica adottata alle fine della Prima repubblica, quando la “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria sembrava ad un passo dal far saltare il banco delle elezioni del 1994. 

Sappiamo poi come andarono le cose. Quasi dal nulla sbucò un imprenditore di successo, il cui travolgente successo lasciò con le pive nel sacco l’allora Pds e soci. 

Ma nonostante sia passato un ventennio da quella colossale batosta, risentiamo ripetere oggi le stesse tesi di ieri. Per sintetizzare, si vorrebbe accreditare ancora una volta l’idea, a mio avviso totalmente illusoria e foriera di altri guai, secondo la quale l’attuale degrado della politica sia attribuibile solo ad alcuni partiti, con il Pdl di Berlusconi in testa, cercando nel contempo di indurre i più a considerare implicitamente gli avversari politici di questi ultimi, segnatamente il Pd di Bersani e Renzi, gli unici in grado di rappresentare una alternativa credibile all’attuale sfascio. 

Da qui discende la seconda scempiaggine strategica, anch’essa ampiamente perseguita ai tempi di Occhetto, di invocare l’avvento del “nuovo” nella nostra democrazia, anche qui ritenendo implicitamente di potersi affrancare dal resto del sistema politico, magari in virtù di qualche annetto passato all’opposizione e dall’aver, sempre a chiacchiere, sbandierato  ai quattro venti la cosiddetta questione morale. Per questo motivo, considerandosi inattaccabili sul piano dell’onestà autocertificata, i partiti di sinistra e i loro megafoni dell’informazione stanno operando una poderosa delegittimazione nei confronti di chi ha governato prima dell’esecutivo tecnico, al pari di ciò che avvenne nei primi anni novanta a danno del famigerato Pentapartito di Craxi, Andreotti e Forlani, ritenendo con ciò di orientare in loro favore la fiducia dell’elettorato. E dunque, anzichè cercare di affrontare una onesta autocritica politica, la quale non può che basarsi su aspetti di natura sistemica (basti pensare che i tanti intollerabili privilegi della bistrattata casta vengono regolarmente votati all’unanimità in qualunque organo della nostra pletorica rappresentanza democratica), l’intera sinistra italiana tende a puntare il dito solo sugli scandali degli antichi avversari-nemici, mettendo regolarmente la sordina alle vicende di ordinaria malversazione che pur riguardano copiosamente la propria parte. 

Ed è a questo punto che, come appunto nel ‘94, da un momento all’altro potrebbe sbucare un terzo incomodo per le truppe di Bersani e Vendola. 

Terzo incomodo che questa volta, tanto per fare nomi, potrebbe assumere le vesti molto meno rassicuranti di un Grillo, dato nuovamente in forte crescita nei sondaggi, nonostante le recenti polemiche esplose a causa di una sostanziale assenza di democrazia all’interno del M5S. Comunque sia, questa insensata propaganda con cui si vorrebbero screditare solo le fazioni avverse un risultato molto serio lo sta già provocando proprio all’interno del Pd. Infatti, non comprendendo che nell’attuale caos l’opinione pubblica tende sempre più a fare un fagottello dell’intero ceto politico professionale, tutto questo sta paradossalmente favorendo Matteo Renzi nella sfida con Bersani. 

Tant’è che in pochi giorni il sindaco di Firenze sembra aver quasi colmato, nelle intenzioni di voto, l’enorme distanza che lo separava dal segretario del Pd. E ciò in virtù del fatto che il primo, pur essendo come Bersani un professionista del bene comune fatto con i soldi degli altri, viene comunque percepito assai più “nuovo” del secondo, troppo simile ai suoi grigi e compassati predecessori del vecchio Pci. 

 Ebbene, se l’insensata delegittimazione, per così dire, settoriale di un ceto politico in realtà molto omegeneo nei fenomeni di fondo dovesse contribuire alla sconfitta di Bersani alle primarie, questo starebbe a significare che la nuova versione, riveduta e corretta, della gioiosa macchina da guerra avrebbe cominciato a perdere i pezzi ancor prima del confronto elettorale della primavera prossima.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:34