Intercettazioni: l'altolà di Palazzo Chigi

In una sua recente intervista rilasciata al settimanale Tempi, il premier Mario Monti ha osservato che le intercettazioni telefoniche, strumento di indagine peraltro di grande utilità ai fini della acquisizione delle notizie di reato, in passato ha dato vita ad abusi e storture intollerabili e inaccettabili. Il presidente Monti, come è evidente, si riferiva al fatto che recentemente, nell’ambito della indagine sulla presunta trattativa tra stato e mafia, è stato addirittura intercettato il presidente della repubblica Napolitano, mentre parlava al telefono con l’ex ministro Nicola Mancino, indagato, sempre nella stessa inchiesta, dalla procura palermitana. Inoltre il premier Monti, nella stessa intervista, è evidente che evocava e si riferiva ad una sequenza di abusi, a causa dei quali spesso è accaduto in passato che il contenuto delle intercettazioni, pubblicate sui media in violazione del segreto istruttorio, coinvolgeva persone estranee al procedimento penale, il cui diritto alla privacy è stato impunemente ed ingiustamente violato e profanato.

Sia l’associazione nazionale dei magistrati sia il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, animato da una smania di protagonismo che non conosce alcun limite istituzionale, hanno commentato le parole del premier sul tema delle intercettazioni, giudicandole gravi e ingiuste. Inoltre, facendo riferimento al ricorso con cui l’avvocatura di stato ha sollevato il conflitto di attribuzione tra la presidenza della repubblica e la procura di Palermo, in merito alle intercettazioni indirete riguardanti il presidente Napolitano, l’Anm ha sottolineato che non vi è stato nessuno abuso nell’uso delle intercettazioni da parte della Procura Siciliana. A questo proposito occorre ricordare che cosa è realmente accaduto.

Il presidente Napolitano, che in più occasioni ha chiesto che sia accertata la verità e che siano diradate le zone oscure in riferimento alla presunta trattativa tra stato e mafia, che si presume sia avvenuta tra il 1992 ed il 1993 e nel periodo i cuoi la prima repubblica era agonizzante ed in procinto di dissolversi, è stato intercettato telefonicamente mentre conversava con Nicola Mancino. La procura di Palermo, pur avendo ricevuto una richiesta in tal senso, si è rifiutata di distruggere i nastri, che contengono la registrazione delle conversazioni telefoniche del presidente Napolitano, chiedendo, pur essendo state considerate penalmente irrilevanti, che siano oggetto del dibattimento dinanzi al Gip, sicché ne verrebbe divulgato pubblicamente il contenuto. L’avvocatura dello stato, a tutela del ruolo del capo dello stato che, in base all’articolo 90 della Carta Costituzionale, è politicamente irresponsabile nell’esercizio delle sue funzioni  ed il contenuto dei suoi atti deve rimanere inconoscibile se non è penalmente rilevante, ha sollevato il conflitto di attribuzione il 16 luglio. Il prossimo 19 settembre è prevista la sentenza della Corte Costituzionale, che potrebbe accogliere il ricorso avanzato dalla avvocatura dello stato oppure respingerlo.

A questo proposito alcuni giuristi hanno notato giustamente, che sul piano della pura dottrina costituzionale è opportuno ricordare che le sentenze emesse dalla Consulta possono essere di due tipi: addittive oppure interpretative. Tuttavia, al di là di quale esito avrà questa vicenda giuridica, che rischia di riproporre in forme inedite il conflitto tra le istituzioni dello stato democratico, rimane l’esigenza, da tutte le forze politiche riconosciuta, di disciplinare in modo efficace e rigoroso la delicata materia delle intercettazioni telefoniche. Nessuno dubita dell’utilità di questo prezioso e indispensabile strumento di indagine. In ogni caso la nuova normativa, che si spera sia approvata nella parte finale dell’attuale legislatura, dovrebbe garantire il rispetto della vita privata di persone estranee al procedimento penale, assicurare il diritto di cronaca, e rendere possibile l’acquisizione degli elementi giudicati penalmente rilevanti, ai fini della conclusione di una inchiesta penale. In particolare, in una intervista molto equilibrata rilasciata domenica scorsa al Corriere della Sera, Pier Luigi Vigna, da vero galantuomo, in passato procuratore nazionale antimafia, ha riconosciuto che le intercettazioni telefoniche hanno spesso provocato abusi e gravi storture. Inoltre ha sostenuto Vigna che, a proposito della smania di protagonismo di alcuni magistrati incoraggiati dalla stampa giustizialista, è fondamentale riaffermare la divisione dei ruoli tra la politica e la magistratura, perché quest’ultima non sia sospettata di agire per fini diversi da quelli imposti dalla sua funzione istituzionale.

Per Vigna le intercettazioni penalmente irrilevanti, dopo che siano stati dal giudice delle indagini preliminari informati gli indagati ed i loro avvocati, dovrebbero essere coperte dal segreto e distrutte. Giustamente il capogruppo alla Camera  Fabrizio Cicchitto ha detto che, alla ripresa dei lavori parlamentari a settembre, si dovrà discutere di una legge efficace ed incisiva sulle intercettazioni, sulla responsabilità civile dei magistrati e su quella riguardante la lotta alla corruzione.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:35