Ridurre il welfare per salvare l'Italia

In tema di spending review, o revisione della spesa pubblica che dir si voglia, il governo dei tecnici rischia seriamente di generare nella mente della maggioranza dei cittadini un pernicioso equivoco, sapientemente alimentato per decenni dai soci vitalizi di un sistema politico-burocratico che da sempre tende ad espandere i propri confini. In grandi linee, senza mettere minimamente in discussione il perimetro e le competenze pubbliche, sarebbe molto grave indurre i più a pensare che basti razionalizzare i costi della macchina statale - così come risulta da alcune recenti indicazioni provenienti dall’esecutivo - che in tutto gestisce ogni anno la colossale cifra di circa 830 miliardi, per tenere sotto controllo la spesa. In realtà, come oramai dovremmo aver appreso dopo decenni di annunci di tagli regolarmente disattesi dai consuntivi, i centri della stessa spesa pubblica sono così numerosi, con una forte tendenza a proliferare, da generare tutta una serie di dinamiche incrementali che risulta assai difficoltoso bloccare. Tant’è che da tempo chi studia la complessità del bilancio pubblico sa bene che le uscite tendono a lievitare, per così dire, a legislazione corrente. Ossia si spende di più anche senza approvare ulteriori leggi specifiche. 

D’altro canto, la pervasività della mano pubblica e le sue connessioni con la società  sono tali che cercare solo di bloccare la spinta ad invocare sempre più risorse attraverso il molto generico impegno a contrastare i cosiddetti sprechi risulta piuttosto illusoria. Quando la ricchezza controllata dalla politica e dalle sue emanazioni burocratiche supera ampiamente metà del Pil (attualmente siamo al 55%), gli interessi costituiti che ne beneficiano rappresentano un ostacolo formidabile per qualunque forma di contenimento delle uscite complessive dello Stato. E’ inevitabile che ogni singolo settore faccia muro ai risparmi, invitando chi è chiamato ad usare il bisturi dei tagli a rivolgersi altrove. 

Per questo motivo, come ho avuto l’opportunità di scrivere più volte, l’unico strada per ridurre in modo strutturale la nostra colossale spesa pubblica passa attraverso un graduale ridimensionamento delle relative competenze, riportando il peso dello Stato entro termini sostenibili. Ciò vuol dire in primo luogo il profondo ripensamento di un sistema di welfare il quale, fatte salve le garanzie minime di tutela per le fasce della popolazione più svantaggiate, rappresenta la fonte principale dei nostri guai finanziari. Ma per fare questo, sfidando l’inevitabile impopolarità,  occorrono due requisiti fondamentali: un tempo ragionevolmente lungo, onde consentire alla cittadinanza di sperimentare la bontà delle riforme adottate, e il coraggo politico per farlo. Ebbene, finora questo ultimo elemento è quasi completamente mancato in chiunque occupasse la stanza dei bottoni, professori compresi. Per questo, parafrasando un celebre passo del Promessi sposi, non è ragionevole pensare che costoro possano darselo da soli - il coraggio - nei pochi mesi che mancano alla fine della legislatura. Dobbiamo, pertanto, aspettarci l’ennesima revisione della spesa pubblica che punti a risparmiare sulle matite e le fotocopie. Con buona pace di chi si aspetta un forte ridimensionamento dell’enorme apparato politico-burocratico e di tutte le sue costose ramificazioni.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:05