Perché le dismissioni non bastano

Osservando la ridda di proposte politiche che circolano per affrontare la grave crisi in atto, mi sembra che oramai stiano prevalendo decisamente le illusioni a tutto danno di un sano realismo. In particolare mi continua a colpire molto negativamente l’idea di concentrarsi sul pur enorme indebitamento pubblico, cercando la soluzione più facile per ridurne l’ammontare, anzichè toccare in profondità gli aspetti strutturali che si trovano da sempre alla base dei nostri dissesti economici e finanziari. Aspetti strutturali che, come si è costretti a ripetere fino allo sfinimento, dipendono in grandi linee dalla distorsione operata nel nostro sistema da un eccesso di Stato, di spesa pubblica e, conseguentemente, di tassazione. Ciò, molto in sintesi, crea in primo luogo un evidente squilibro organizzativo sul piano generale, determinando di conseguenza gli elementi negativi che affliggono da molto tempo il paese e che si sintetizzano in una sola definizione: bassa crescita. 

Quindi, pur con tutti i limiti imposti dalla nostra democrazia delle banane, la cosa più ragionevole da fare, onde contrastare un declino sempre più evidente e minaccioso, sarebbe quella di ridurre il perimetro complessivo della politica e della burocrazia imperante. Un perimetro che, sul piano delle risorse direttamente controllate, ha raggiunto il 55% del Pil. Ossia una percentuale degna di un regime socialista e, per questo, incompatibile con ogni tentativo di far riprendere la corsa alla nostra appesantita locomotiva produttiva. 

Ora, una strategia che punti alla ripresa economica attraverso il taglio della spesa e della pressione fiscale, in prospettiva, offrirebbe a mio avviso maggiori garanzie sulla tenuta del nostro debito pubblico rispetto a qualunque tentativo di ridurlo attraverso operazioni straordinarie, vendite, dismissioni o versamenti volantari che siano (quest’ultimi fantasiosamente proposti dal parlamentare del Pd Portas). Infatti, lasciando inalterate le attuali competenze politico-burocratiche e, dunque, il livello di spesa, un parziale attenuazione dell’indebitamento servirebbe solo a procrastinare di qualche tempo il fallimento complessivo di un sistema che continuerebbe comunque a vivere sopra le proprie possibilità. Inoltre, mantenendo inalterata l’attuale, enorme zavorra pubblica, le risorse per una grande vendita del patrimonio pubblico saranno sempre più limitate dagli effetti recessivi che una tale situazione determina, proprio come il cane che si morde la coda. Solo tornando a crescere secondo le nostre potenzialità sarebbe possibile, contestualmente ad una decisa attenuazione della pressione fiscale, predisporre una strategia di contenimento del debito che passi anche per l’alienazione di parte “dell’argenteria” dello stato. Anche perchè, gli immobili  hanno raggiunto un livello tale di tassazione che chiunque ci penserebbe due volte ad acquistare qualcosa dalla mano pubblica, con la prospettiva di subìre in seguito una serie di prelievi, per così dire, ballerini. Soprattutto se dovesse andare al governo chi, come il partito di Bersani, fin da ora pensa di introdurre pesanti patrimoniali. Proprio non ci siamo.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:08