È arrivata l’ora di un nuovo Risorgimento. E sono convinto che oggi vi siano, sparse nella nostra società, anche le persone per farlo. Si tratta, perlopiù, di persone comuni. Negli ultimi tempi, infatti, a mio parere, si è formata una massa critica nella società italiana pronta a recepire e a sostenere una fase di lotta politica nonviolenta e innovativa di stampo liberale.
L’Italia, in questi ultimi due anni, già prima del 2011, cioè prima dell’anniversario dei 150 anni dall’Unità d’Italia, ha maturato tutte le premesse per un profondo e radicale cambiamento d’ispirazione risorgimentale. Un cambiamento capace di aprire una indispensabile stagione di ritrovata cultura politica riformatrice, d’ispirazione mazziniana e cavouriana, da Destra storica e da Connubio liberale, come ha scritto in un suo recente articolo il direttore Arturo Diaconale.
Certo, si dirà, per avviare un nuovo Risorgimento servirebbero energie umane e politiche con il profilo e lo spessore di Giuseppe Garibaldi o studenti capaci di muoversi nel solco di quello spirito ideale e liberale che fu di Nicola Ricciotti, dei fratelli Bandiera o di Carlo Pisacane. Personalmente, sono convinto che persone simili ci siano, ne conosco anche qualcuna, il problema è che non sono persone che vanno in tv o nei programmi d’approfondimento perché questo regime illiberale non vuole che si conoscano, non devono essere conosciuti dagli italiani. Non penso, però, che gli studenti debbano diventare dei martiri, anzi: i ragazzi potrebbero riscoprire la forza della nonviolenza gandhiana o la spinta ideale di un Antonio Rosmini, di un Massimo D’Azeglio o di un Carlo Cattaneo proprio per evitare che, in fondo a questa crisi, si trovi un mondo senza più un futuro.
Certo, in un qualche modo, ci vorrebbe una sorta di rinnovata e moderna spedizione dei Mille. Magari potrebbe partire dalle carceri, invece che da Quarto. È da diverso tempo, comunque, che questo quotidiano e il gruppo di persone che si è riunito volontariamente intorno agli Amici dell’Opinione cercano di offrire ai propri una chiave politica risorgimentale per uscire dalla crisi. Ormai, del resto, l’attuale sistema - a cominciare da quello economico e finanziario - non regge più e si sostiene ancora soltanto per inerzia, grazie alla disperata sopravvivenza di un Potere fine a se stesso che appare ed è vecchio, logoro, marcio.
Il campo occupato trasversalmente dalla partitocrazia, infatti, è diventato un terreno del tutto impraticabile. Melmoso. Non è più un terreno accessibile né coltivabile e neppure percorribile, tanto meno edificabile. Il campo unico del regime partitocratico, insomma, non permette più nemmeno la possibilità di costruire il futuro. Che facciamo? Che cosa vogliamo fare? Lo vado ripetendo dal 2009 offrendo una mia risposta: costruiamo insieme un altro campo, un campo altro.
Lo ribadisco anche ora e qui. Mi rivolgo innanzitutto ai Radicali: costruiamo un altro campo alternativo al blocco unico e trasversale dalla partitocrazia di centro, di destra e di sinistra. Perché viviamo in un sistema che, ormai, tende soltanto a reiterare se stesso, a sopravvivere. Nel campo di questo regime anti-democratico e illiberale, non c’è politica. La politica è un’altra cosa.
È necessario che si cominci a fare chiarezza e a non confondere le parole: una cosa è il Potere, un’altra cosa è la Politica. La partitocrazia delle spartizioni, delle corruzioni, dei verticismi di apparato, delle becere angherie, dei ricatti, dell’immobilismo, delle prepotenze, delle menzogne, delle omissioni, del viscido cinismo, del malaffare, è il Potere che ha distrutto la Politica eliminando anche la possibilità di seminare libertà, uguaglianza e stato di diritto su quel campo. Ci vuole un altro campo. Se si mette un piede sulla superficie del pantano partitocratico, infatti, si rischia di finire inghiottiti dalle sabbie mobili. Siamo arrivato all’apice di quella «metamorfosi del male» che Marco Pannella e i Radicali hanno ben saputo descrivere nel libro giallo sulla «Peste italiana». E ora?
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:32