Crack siciliano? Bisognava agire prima

Ci voleva una crisi devastante per scoprire che regioni come la Sicilia, in cui l’autonomia viene da sempre pagata coi soldi degli altri, stavano vivendo ben al di sopra le loro possibilità, consentendo ad una casta di mandarini di mantenersi la poltrona attraverso un uso totalmente irresponsabile dei quattrini pubblici? Eppure sono molti anni che escono studi e commenti circa l’abnorme fenomeno della dilatazione della spesa pubblica e dei relativi apparati della più grande isola italiana - su tutti l’impressionante organico della Regione, che ha continuato a lievitare pure nel corso della suddetta crisi - senza che a livello della politica nazionale si prendesse, sotto qualsiasi governo, un benchè minimo provvedimento per, quanto meno, contenere una forma di autonomia, stile bankomat, sfacciatamente orientata solo sul versante delle uscite.

Sotto questo profilo, la totale mancanza di scrupoli della classe dirigente siciliana è stata sostanzialmente coperta, se non addirittura incentivata, da quella nazionale, strutturalemete prigoniera di un meccanismo democratico di consenso che, a questo punto, dovrà necessariamente essere ridiscusso. Ridiscusso soprattutto sul piano della valenza economica e finanziaria di qualunque responso elettorale. In altri termini, così come è avvenuto in Europa con la Grecia, non si può più pensare che vaste aree territoriali possano scegliere una rappresentanza amministrativa che, per ragioni puramente elettoralistiche, mandi in bancarotta l’intero sistema. Per questo motivo, continuo sommessamente a pensare, occorre stabilire dei paletti invalicabili all’azione dei vari governi, a qualunque livello essi operino. Ed in verità, con l’introduzione dell’euro, un limite alla spesa irresponsabile della classe politica è stato indirettamente posto, sebbene i suoi effetti siano stati compresi dai più solo recentemente.

In sostanza, con lo standard della moneta unica stati e regioni canaglia sul piano finanziario possono contare solo su prestiti e/o trasferimenti per continuare ad alimentare le loro dissennate politiche espansive. Ma nel momento in cui, così come è accaduto in questi ultimi mesi, il circuito della liquidità si inceppa, venendo meno gran parte delle risorse altrui da utilizzare, lo spettro sinistro del default fa repentinamente il suo ingresso. Tanto è vero che proprio in merito della stessa Sicilia si parla diffusamente di vero e proprio fallimento, con il rischio concreto di non poter pagare gli stipendi e le pensioni regionali. Ma la strada per consentire a questa splendida terra, così come a chiunque ambisca all’autogoverno, di riconquistare una vera autonomia non può più passare per l’elargizione a fondo perduto di enormi risorse, magari sotto il nobile intento di eliminare le cosiddette disuguaglianze, così come tanti sinistri personaggi continuano ad invocare.

La vera autonomia, giunti a questo punto, non può che basarsi sull’estensione a livello regionale e statale di quel sano principio di responsabilità individuale che dovrebbe imporre ad ognuno di vivere ed organizzarsi secondo le proprie possibilità. Le fabbriche di consenso finalizzate a regalare posti al sole e rendite vitalizie vanno chiuse in Sicilia ed altrove, se non vogliamo andare tutti a raccogliere cicoria.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:08