L'unica risposta è riformare lo stato

L’allargamento del fondo salva-stati alle banche, con cui in sostanza queste ultime dovrebbero essere ricapitalizzate direttamente dallo stesso fondo europeo, è stato accolto in Italia da cori entusiastici. Soprattutto da coloro i quali si aspettano dalla politica, in questo caso continentale, la risoluzione di ogni problema. Ma in realtà, come è inevitabile che sia, dal vertice di Bruxelles non possono che uscire dei provvedimenti tampone di carattere finanziario, come appunto quello di fornire un ombrello alle banche. Tuttavia, dato che i veri nodi da sciogliere si trovano all’interno dei paesi più in difficoltà come il nostro, per una risoluzione strutturale della crisi occorre ben altro. 

Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, detti nodi riguardano alcuni elementi ben noti da tempo e che in questo ultimo periodo storico si sono ulteriormente aggravati, provocando gravi tensioni sui mercati finanziari. Molto in breve, con un debito stratosferico che ha quasi raggiunto i duemila miliardi di euro, circa il 125% del pil ed un sistema economico che sembra sprofondare - consumi crollati sotto il livello del 2001 - le attuali turbolenze che hanno fatto lievitare lo spread dei titoli pubblici ne rappresentano una quasi geometrica risultanza. E dato che gli investitori di ogni latitudine ragionano in termini di aspettative e di prospettive, le nostre appaiono assai fosche, se consideriamo che il  Paese è afflitto da un eccesso di spesa pubblica e di relativa tassazione; ossia i due fattori principali che impediscono ogni possibilità di ripresa. Ed è ovvio che senza una crescita accettabile la solvibilità di un debito così grande viene messa a repentaglio, facendo inevitabilmente lievitare i tassi d’interesse, altro che speculazione cinica e bara.

Persino il tanto sbandierato pareggio di bilancio previsto per il 2013 sembra allontanarsi drammaticamente, confermando l’impressione di una Penisola in rapido avvitamento. D’altro canto, come i pochi veri liberali di questo Paese continuano ad ammonire, il rigore montiano finora si è realizzato quasi unicamente attraverso l’ulteriore inasprimento della già altissima pressione fiscale, riforma delle pensioni a parte, appesantendo chiaramente la recessione in atto. In parole molto semplici, avendo portato il livello reale della tassazione al 55% del pil - corrispondente a quello della spesa pubblica allargata - è come se il governo preferisca tagliare il ramo su cui siamo seduti tutti, anziché alleggerire il fardello fiscale e burocratico che grava sui ceti produttivi. Sotto questo profilo non c’è alcun provvedimento politico per la crescita che tenga, se non si riporta il peso dello Stato entro limiti più che tollerabili. 

Quindi, in conclusione, qualunque provvedimento tampone di respiro europeo non può che regalarci del tempo prezioso, ma non serve a risollevare le sorti dell’Italia se non viene accompagnato dalle quelle sempre più improcrastinabili riforme strutturali che debbono necessariamente mirare a ridurre il perimetro pubblico. E fino a quando chiunque si trovi nella stanza dei bottoni non inizierà a farlo seriamente, il baratro sarà sempre dietro l’angolo.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:53