La crisi non è certo colpa di Moody's

Venerdì mattina è andata in onda una puntata di “Coffee Break”, talk show di approfondimento condotto da Tiziana Panella, eufemisticamente bizzarra. Prendendo spunto dal declassamento di 15 importanti banche statunitensi ed europee, operato da Moody’s, è stato messo in scena un improvvisato processo mediatico a danni delle agenzie internazionali di rating, in cui hanno assunto la parte di pubblici ministeri il paladino dei consumatori, nonchè parlamentare dell’Idv, Elio Lannutti, e l’ex viceministro dell’Economia e delle Finanze, Mario Baldassarri, in quota a Fli. E mentre quest’ultimo si è limitato a dare uno zero tondo all’operato delle stesse agenzie, sostenendo l’utopistica pretesa di creare un ulteriore istituto che valuti l’affidabilità delle medesime agenzie, Lannutti ha invece definito criminogeno il comportamento delle stesse, citando alcune intercettazioni telefoniche tra Milano e New York fatte eseguire dalla procura di Trani, nel corso della surreale inchiesta contro una presunta manipolazione dei mercati finanziari. 

In momenti di grave crisi è facile imbattersi in un insopprimibile retaggio culturale che spinge molti individui a cercare un capro espiatorio su cui scaricare ogni responsabilità. Tuttavia da personaggi che rivestono importanti ruoli pubblici ci si aspetterebbe un maggior uso delle capacità raziocinanti. Nella fattispecie, prendersela con le agenzie di rating equivale ad accusare il termometro di barare, quando si ha la febbre alta. Si può anche discutere sulla attendibilità di una singola valutazione, ma pensare che la crisi dell’euro e dei cossiddetti debiti sovrani dipenda dall’azione concertata di un presunto complotto speculativo costituisce un comodo paravento con cui celare ai più le vera natura delle nostre attuali difficoltà. 

Non c’è valutazione che tenga se essa viene fornita al di fuori di ogni elemento reale. Da questo punto di vista, oltre al discredito che simili errori getterebbero in chi li commettesse, qualunque operazione al ribasso eseguita ai danni di uno stato o di una singola azienda fondamentalmente sani e solvibili verrebbe rapidamente smascherata dai mercati, facendo letteralmente bruciare il posteriore a tutti coloro che hanno orientato i loro investimenti nella direzione indicata da una valutazione truffaldina. Tanto è vero che in questa fase storica le difficoltà a trovare finanziatori non ce l’hanno le banche ed i Paesi finanziariamente più solidi, bensì i sistemi come quelli dell’Europa mediterranea che, guardacaso, sono affetti da un eccesso di indebitamento. L’Italia ed il suo settore creditizio, in particolare, hanno subìto una serie di declassamenti non certo a causa di una conventicola di biechi speculatori che, come pensa Lannutti, si sono messi d’accordo per guadagnarci sopra. In realtà il nostro paese sta scontando sui mercati l’accresciuto rischio di insolvenza determinato dal combinato disposto di un alto debito pubblico, di un eccesso di spesa e di tassazione e di una profonda recessione in atto. Sotto questo profilo le agenzie di rating non hanno fatto altro che registrare, così come è drammaticamente accaduto per la Grecia, l’andazzo di un sistema paese il quale, onde continuare a vivere sopra le proprie possibilità, a continuato a far affidamento sui prestiti. E l’unico modo per bloccare la speculazione al ribasso non è certamente quello di inscenare processi farsa, mettendo alla gogna chi è pagato per orientare gli investimenti finanziari. Occorrerebbe invece rimuovere le cause prime che hanno condotto l’Italia sull’orlo del baratro, tra cui l’insostenibile peso di una politica dirigista che oramai controlla il 55% del Pil. 

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:04