
Mentre l'Istat registra il crollo della produzione industriale ad aprile, con un meno 9,2% su base annua, all'interno del governo continua il balletto sul cosiddetto decreto sviluppo, il cui esame da parte del Consiglio dei ministri è slittato per ben due volte nel corso di questa settimana. Tra le indiscrezioni sui motivi del rinvio si vocifera di un braccio di ferro sotterraneo tra il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera ed il premier Mario Monti, con al centro una sostanziale mancanza di copertura finanziaria per i provvedimenti elaborati dallo stesso ex amministratore delegato di Banca Intesa. In pratica, a quanto risulta dalle dichiarazioni di altri membri del governo, sembra che il barile delle risorse pubbliche sia stato ampiamente raschiato, tant'è che per venire incontro alle prime spese del terremoto in Emilia non si potuto far altro che aumentare ancora una volta le accise sui carburanti.
Ma a parte queste schermaglie, che somigliano maledettamente a quelle che si registrano da sempre all'interno dei nostri governicchi politici, siamo proprio sicuri che si possa realizzare crescita e sviluppo economico per decreto legge? Soprattutto all'interno di un sistema paese gravato da un prelievo reale di risorse che, diretta conseguenza della spesa pubblica, oramai ha raggiunto il 55% del reddito nazionale, appare quanto mai surreale l'idea di intervenire direttamente attraverso un atto deliberato dell'esecutivo per stimolare i consumi e gli investimenti. Da questo punto di vista, così come indica il vasto esercito trasversale dei keynesiani in servizio attivo permanente, il principio sarebbe quello di sottrarre ulteriori risorse all'economia privata, attraverso le tasse e/o altro indebitamento, per poi destinarle a questo o quel settore, secondo tutta una serie di scelte politico-burocratiche. Ciò presuppone che la strada della pianificazione democratica delle risorse, sperimentata in lungo ed in largo nei paesi del socialismo reale, sia assai più efficace dell'azione della tanto bistrattata mano invisibile del mercato a creare ricchezza e benessere. Cosa che, ovviamente, noi liberali non pensiamo affatto, ritenendo prioritaria in ogni politica economica l'opzione strategica di abbattere la spesa e la relativa fiscalità allargata. Al di fuori di questo schema, orientato a ridurre notevolmente il perimetro dello stato, ogni tentativo di realizzare sviluppo emulando i sinistri ukase staliniani è destinato a stringere ancor più il cappio tributario e normativo che sta letteralmente strangolando l'Italia produttiva. Il paese non ha bisogno di altri decreti per crescere, perchè sono gli stessi decreti il problema.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:13