Grillo e Pizzarotti sono già ai ferri corti

Il grillismo, oltre al lato minaccoso nei confronti dei partiti, sta mostrando anche un certo aspetto comico. D'altro canto il fondatore del Movimento 5 Stelle è  un comico di professione, sebbene la vicenda che sta sconvolgendo la sua armata di uomini qualunque non fosse prevista da alcun copione o canovaccio. Sembra, infatti, che il neo-sindaco di Parma Pizzarotti abbia iniziato un lungo braccio di ferro con lo stesso Beppe Grillo e con la sua eminenza grigia Gianroberto Casaleggio, allo scopo di far accettare come direttore generale del suo comune tal Valentino Tavolazzi, il quale ha già occupato lo stesso incarico a Ferrara, sotto una giunta a guida Pd.

Ebbene, avendo lo stesso Tavolazzi ricevuto la scomunica da Grillo in persona, con l'accusa di non rispettare il bizzarro "non statuto" del M5S, si sta cercando in tutti i modi di convincere Federico Pizzarotti a sottostare al veto di chi guida il movimento dall'alto, in barba a tutti i proclami di autogoverno lanciati in questi ultimi anni. In realtà, questa ingarbugliata vicenda sta portando in superficie un elemento di grave debolezza, per così dire, democratica del grillismo. Elemento legato proprio al citato "non statuto" il quale, già ad una prima lettura, rende molto chiaro il rapporto tra il fondatore del M5S e i suoi aderenti, qualunque posizione essi occupino nelle istituzioni.

In sostanza, il meccanismo di adesione di quella che viene indicata come una "non associazione" è di una semplicità micidiale. Per iscriversi è sufficiente inviare via internet la propria richiesta che, successivamente, verrà valutata per l'accettazione sulla base di alcuni semplici requisiti. Resta, tuttavia, la possibilità da parte dei vertici centralizzati del movimento di cancellare ogni iscritto per la perdita dei requisiti medesimi. In altri termini, ciò significa che  all'atto pratico adesioni e, conseguentemente, candidature debbono necessariamente passare al vaglio di Beppe Grillo o dei suoi più stretti collaboratori. Non solo, come sta dimostrando l'affare Tavolazzi, pure una questione che esula dal voto, riguardando una scelta professionale che compete al sindaco di Parma, è diventata oggetto di indirizzo e di controllo da parte  di chi, in evidente contraddizione, proclama ai quattro venti di voler svolgere un ruolo di mero catalizzatore della volontà popolare.

Tutto questo porta alla luce per l'ennesima volta il tratto tipico delle aggregazioni politiche di natura carismatica le quali, nell'ambito di un sistema elettivo, manifestano ogni volta lo stesso anello debole. Ossia il tipo di vincolo che lega i suoi membri con un leader apparentemente indiscusso. Molto in breve, almeno fino a che si gode di una fase di crescita elettorale, si crea immediatamente all'interno di tali movimenti e/o partiti una sorta di rigido equilibrio fondato sull'imprimatur concesso dal capo. Imprimatur senza il quale i non allineati sarebbero costretti ad organizzarsi politicamente in modo autonomo e sotto un'altra dicitura, con la concreta possibilità  di sparire alla prima verifica elettorale. Ed è proprio sulla concessione a rischio di revoca che si fonda lo strapotere di Beppe Grillo all'interno della sua non molto democratica  "non associazione". Un meccanismo che, però, se già comincia a scricchiolare adesso, in cui siamo ancora ad un livello locale, figuriamoci cosa potrebbe accadere una volta che il M5S sia riuscito a portare in Parlamento una nutrita schiera di rappresentanti. Forse a quel punto il Grillo nazionale potrebbe essere proclamato da qualcuno dei suoi in cerca di autonomia un "non leader". Staremo a vedere.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:32