Al Pdl serve una nuova dirigenza

Nel day after alla sberla incassata dal Pdl in questa tornata elettorale, giustamente Antonio Polito rimarca l'inutilità delle metafore usate per indicare l'astensionismo degli elettori di centrodestra.

Alla fuga è stato attribuito il senso di allontanamento piuttosto che quello di un travaso, un trasferimento di consensi in altri partiti. Che poi l'esito delle votazioni a Parma dimostri in realtà esattamente il contrario, o che altrove l'astensione indichi la precisa volontà di non premiare il Pdl, è questione che ha ceduto il passo all'urgenza di formulare ipotesi per richiamare i fuoriusciti. Il Pdl, però, nel prepararsi alla missione di recupero, insiste nello spropositato errore di considerare i suoi elettori alla stregua di militanti obbedienti, pecorelle "involontariamente" smarrite.

E nella convinzione che un nuovo schioccar di dita di Berlusconi, pronto al collaudo di una sempre più probabile discesa in campo di Montezemolo o ad un rassemblement del cosiddetto Terzo polo, sia condizione sufficiente per ricomporre l'esercito dell'elettorato di centrodestra. Ma quel popolo è formato da individualisti, non da soldati in libera uscita, sensibili alla salvaguardia delle proprie libertà e dei propri interessi e ad una passione politica che non ha trovato riscontro nella classe dirigente, soprattutto ai livelli intermedi del Pdl. L'elettorato è disponibile a fare concessioni di "vantaggismo personale" soltanto al leader, se la promessa della contropartita in termini di stabilità è congrua. Ma  quello che era concesso a Berlusconi non è più concesso ai dirigenti del suo partito. L'esito di queste amministrative dimostra in maniera evidente la disaffezione degli elettori nei confronti di un'offerta politica che, a partire dai livelli locali, ha dato spazio solo a nomi avidi di prebende e di ritorni affaristici causa di sfacciate quanto repentine transumanze a seconda delle proprie convenienze personali.

E se la Sicilia è, dai tempi del milazzismo degli anni Cinquanta, territorio privilegiato di tali giochi di Palazzo e di sperimentazioni trasversali dirette alla mera conquista del potere, complice anche la condizione di autonomia regionale, il resto d'Italia non è rimasto esente dalle sciatte alchimie politiche degli appetiti personali. Risultate alla fine troppo indigeste anche all'elettorato più fedele, che di veder trasformato lo scacchiere politico in un giro di rubamazzo è evidentemente stufo. Al termine della partita il risultato si è visto: una melma da cui il Pdl farà molta fatica ad uscire. Poiché in essa arranca una classe dirigente sprovvista del benché minimo senso della res publica, di una minima attenzione per la vita activa del paese.

È forte la sensazione che il Pdl il treno lo abbia perso da quando avrebbe potuto evitare questa torrentizia delusione dell'elettorato sugli uomini. Di questo si è trattato. Di questo parlano i travasi locali siciliani dal Pdl alla sinistra (perché ve ne sono stati, anche in alcuni feudi tradizionalmente di destra). Che poi l'avversione a questa incompetenza diffusa sia stata montata ad arte dalle continue staffilate mediatiche, dagli aedi dell'antipolitica, prostrati e prestati al supporto dei tecnici e al generico linciaggio della casta, è considerazione che rischia di rendere miope lo sguardo sulla sfida che attende il morente Pdl.

È mera illusione ritenere possibile un ritorno nei ranghi, un richiamo all'ovile, o il rientro in caserma senza un rinnovamento della classe politica e dei dirigenti con elementi competenti che offrano all'elettore qualche segno di rottura rispetto ai grumi di affarismo interni al partito, ai caporalati stantii, alla galassia dei direttivi locali trasformati in moltiplicatori di posti al sole, alle alleanze mutevoli. Era una scommessa da vincere qualche anno fa. Alfano ha davanti a sé l'impresa improba di contrastare queste forze, ormai sedimentate e granitiche.

 

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:53