Non basta schierare

Con il trionfo del grillino Pizzarotti nella corsa alla poltrona di sindaco a Parma vince l'illusione di un certo volontarismo politico che si basa sulla ben conosciuta retorica delle facce nuove, a cui spesso si abbina il classico giovanilismo d'accatto. Ossia, l'idea che sia sufficiente cambiare il "manovratore" che occupa la stanza dei bottoni con un giovane di belle speranze, proveniente dalla cosiddetta società civile, per ottenere quella miracolosa rigenerazione della cosa pubblica che tutti invocano. Tramontato miseramente il mito della diversità cromosomica del comunismo e dei suoi successivi cascami ideologici, archiviata quasi del tutto la via giudiziaria quale strumento di rigenerazione politica, sembra ora prevalere il qualunquismo programmatico di chi, profittando di una crisi devastante, ritiene di sostituire ai partiti tradizionali una forma di rappresentanza democratica proveniente rigorosamente dal basso. E lo fa non sulla base di una critica di sistema, bensì presupponendo che basti appartenere al novero dei comuni cittadini per garantire, rispetto ai politici di professione, una onesta e lungimirante amministrazione. Tutto questo presuppone che i mali del Paese dipendano essenzialmente dalla presenza di una classe politica incapace e corrotta, la quale non sarebbe in grado di utilizzare al meglio le complesse e misteriose "leve" di comando con cui rendere prospero e felice il nostro grande Paese. Ne consegue che sostituendo i vecchi volti al potere, i nuovi venuti possano finalmente utilizzare le medesime leve di comando per venire incontro ai bisogni dei cittadini. E tutto ciò senza considerare il colossale groviglio di interessi e di voraci aspirazioni che caratterizza il sistema politico in cui viviamo, in cui il consenso  è stato gestito essenzialmente attraverso una continua crescita della spesa e del debito. 

Da questo punto di vista l'esigenza vera del Paese dovrebbe consistere nel ridurre i fattori che ci stanno inesorabilmente conducendo verso la bancarotta. Fattori che possono essere ricondotti al mostruoso 54% di risorse controllate dalla mano pubblica, sottoponendo il Paese reale ad una tassazione insostenibile. Per questo, a prescindere dalla novità delle facce, auspico da tempo una novità della linea politica che sappia finalmente far compiere quei fatidici due passi indietro al nostro Stato Leviatano, così da liberare imponenti risorse per far ripartire dal lato dell'offerta la nostra asfittica economia. Ma tutto questo non sembra appartenere all'orientamento generale del Movimento 5 Stelle, le cui linee guida sembrano essere spiegate piuttosto efficacemente dai sermoni polemici del suo profeta Beppe Grillo. Egli, infatti, non esprime una critica di sistema bensì una dura contestazione al sistema dei partiti, auspicando la nascita di una nuova forma di democrazia elettiva organizzata dal basso. In altri termini, il governo dell'uomo comune. Quello stesso uomo comune il quale, in molti casi, continua ad aspettarsi dalla politica la risoluzione di tutti i suoi problemi personali e che pertanto, non trovando un adeguato corrispettivo nel fallimentare panorama partitico, comincia ad appassionarsi all'idea di scendere direttamente in campo. Tuttavia, sarà questa la strada giusta per rimettere in sesto l'Italia?

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:11