
Conosco bene Gianfranco Fini. Conosco bene Pietrangelo Buttafuoco. Li conosco da quando erano poco più che ragazzi.
Loro giovanotti, io antica testimonianza, superstite emarginato della guerra fredda, ricordo scomodo delle lotte che i figli dell'ultima guerra vissero in una tempesta di odio, convinti di combattere nel nome della libertà.
Gianfranco era l'astro nascente del Movimento Sociale di Giorgio Almirante. Pietrangelo scriveva saltuariamente sul Secolo dimostrando un talento straordinario, al quale, naturalmente, i capi politici del partito e del giornale erano del tutto indifferenti. O, forse, solamente incapaci di comprenderlo.
Gianfranco ha percorso velocemente, senza particolari difficoltà, la sua carriera politica. Essendo uomo fortunato, inanellava successi e favori anche quando si avventurava in percorsi accidentati, anche quando compiva errori madornali, anche quando sbagliava strategia.
La fortuna lo ha sempre aiutato. La dea bendata gli pose accanto tutori come Giorgio Almirante e Donna Assunta, e poi Pinuccio Tatarella. Molti altri volontari convinti della "giusta battaglia", hanno continuato ad offrirgli generosamente risorse e soccorso fino a poco tempo fa.Mi riferisco, naturalmente, a quelli che non hanno mai chiesto né hanno mai avuto nulla in cambio.
Pietrangelo, al contrario, si è dovuto sudare ogni gradino della sua salita, almeno per parecchi anni, spinto solo dal suo talento. Poi anche lui ha incominciato a raccogliere successi e a trovare un po' di fortuna.
Ho letto l'articolo che Buttafuoco ha dedicato a Fini su Il Foglio di qualche giorno fa. Mi ha fatto riflettere. Il pezzo è decisamente scritto bene, come sempre.
Descrive nella sintesi, in modo suggestivo ma vero, tre diverse anime che nel Movimento Sociale di allora tentarono di traghettare il partito verso il superamento del fascismo.
Ed è anche vero che gli eredi politici di Beppe Niccolai, di Pino Rauti e di Pino Romualdi, non si sono impegnati mai ad approfondire il tumulto ideologico di quegli anni che, in realtà, ebbe anche altri protagonisti ed altre interessanti ispirazioni.
Pietrangelo Buttafuoco afferma che Gianfranco Fini è diventato oramai «uno scarto di Pier Ferdinando Casini». Non solo. Dice anche che il fu leader del Msi e di Alleanza nazionale «era quanto di peggio la destra potesse essere in un'Italia attardata negli anni 70». E per chiudere scolpisce l'epitaffio mortale: «Ha gettato nel cesso della storia un mondo di tre milioni di italiani».
Tre lapidi. Tre momenti della vita politica di Fini, e di quei tre milioni di italiani, racchiusi in poche sprezzanti parole.
Mezzo secolo di lotte, di sofferenze, di emarginazioni, di speranze, di amicizie, di ricerche, di vite aggrappate ad un sogno, sintetizzati dalla brutta immagine del "cane in fuga" con la quale Pietrangelo termina l'articolo. Mi sono venuti alla mente migliaia di volti, di destra e di sinistra, "rossi" e "neri", forse anche "bianchi" e "azzurri". Senza distinzioni.
Donne, uomini, giovani, vecchi. Bei visi di militanti che mettevano la vita, il tempo, il lavoro, i soldi al servizio degli ideali in cui credevano.
E rischiavano tutto, anche più delle botte, convinti di lottare per la libertà e per la giustizia. Sotto le tre lapidi incise da Buttafuoco per Fini ci siamo tutti, quelli fuori dall' "arco costituzionale", e quelli dentro, le generazioni nate nel secolo breve e quelle nate e nasciture del terzo millennio.
Sepolta dalle macerie del muro di Berlino si è fermata un'epoca fatta di secoli.
Pensavamo che il crollo di un tragico simbolo del comunismo spalancasse le porte di una nuova era, fatta di equità sociale, di libertà, di uso responsabile e solidale delle ricchezze, di intesa tra le nazioni per offrire in eredità alle generazioni che verranno un pianeta risanato.
Non è stato così. La "morte" delle ideologie ha scatenato la corsa all'egoismo, la febbre del potere, il cinismo più spietato, le ambizioni più abbiette.
E ora l'umanità è seduta sul baratro di un dissesto economico che sta provocando e provocherà fame, violenze, scontri sociali e guerre.
Tutto a causa di una inarrestabile e spietata speculazione finanziaria che l'inettitudine e la corruzione dei politici non sa e non vuole arrestare.
Penso che la storia di Gianfranco Fini descritta da Pietrangelo Buttafuoco, debba essere letta nel più ampio contesto storico che stiamo vivendo.
Non c'è dubbio che Fini abbia fatto errori politici gravissimi e compiuto azioni imperdonabili.
Ma anche noi siamo, almeno in parte, responsabili di questa apostasia generale che ha coinvolto l'intera Italia negli ultimi anni. La fine delle vecchie ideologie ha lasciato un vuoto che non abbiamo saputo riempire.
Abbiamo creduto che un sistema politico, logoro e inefficiente, potesse essere risanato con la linfa generosa proveniente da anni di ghettizzazione e di sofferenze.
Abbiamo pensato che una comunità di onesti inserita in un corpo malato, lo risanasse. Non è accaduto. Si è ammalata anche la comunità.
Non è colpevole solo Gianfranco Fini. Dove erano e dove sono tutti quelli che bussavano alla sua porta per diventare parlamentari, per avere incarichi prestigiosi, per ottenere favori, per fare i ministri?
Se Gianfranco Fini, con onestà e umiltà, mettesse il suo talento, che diversamente da Pietrangelo sono pronto a testimoniare che ha, al servizio degli altri, io lo aiuterei ancora.
E, alle stesse condizioni, aiuterei Tosi e De Magistris, Grillo e D'Alema, Renzi e Alemanno. Malgrado tutto.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:06