«Non voteremo il pasticcio dell'ABC»

Aumentano di giorno in giorno i deputati del Popolo della libertà che potrebbero non votare un eventuale accordo sulle riforme. Soprattutto se dovesse prevedere la costituzione della maggioranze di governo solamente dopo le elezioni. Molti si oppongono anche alle ipotesi di riforma della legge elettorale in senso proporzionale. Alcuni provengono dall'esperienza di Forza Italia, e vorrebbero recuperarne l'originaria spinta al cambiamento. Altri hanno un passato tra le fila della destra italiana. E sono rimasti fedeli allo spirito del maggioritario e del presidenzialismo della fu Alleanza Nazionale. È il caso di Marcello De Angelis, onorevole pidiellino e direttore del Secolo d'Italia, che con alcuni compagni di partito ha firmato nei giorni scorsi un appello proprio in questa direzione. «Potrebbero essere tra trenta e cinquanta i deputati decisi a non votare un accordo sulle riforme per come sta emergendo in queste settimane», conferma De Angelis.

Quali sono gli aspetti che non vi convincono?
Il problema è molto semplice: la politica deve smettere di farsi dettare l'agenda dalla stampa e dall'opinione pubblica. Si pensi a quello che sta succedendo con il finanziamento pubblico ai partiti. O alla delegittimazione del parlamento. Occorrerebbero risposte semplici e incisive, ma per la fretta si ricorre a soluzioni deliranti e confusionarie.

Lo stesso problema lo riscontra con le riforme istituzionali?
Esattamente. In quel caso si cerca di mettere insieme le fave con le rape. Adottare i modelli altrui è sempre catastrofico. Cercare poi di mettere insieme in Italia un sistema elettorale che mescoli quello tedesco a quello spagnolo è assurdo.

Cosa si dovrebbe fare?
Parlare agli elettori. Senza tanti fronzoli, proporre alternative di facile lettura: da una parte il proporzionale, dall'altra il maggioritario. Perché il vero problema, la cui soluzione passa per la legge elettorale ma non riguarda solo questa, è l'ingovernabilità del paese. E se un passo avanti lo si era fatto dai tempi della Prima repubblica, era stato quello in direzione della stabilità di governo. Anche se non nella Costituzione, erano stati introdotti il bipolarismo e l'indicazione del premier. La riforma che si sta delineando è un passo indietro, e non si fonda sull'interesse pubblico.

E a quali interessi fa riferimento?
Alla salvaguardia del protagonismo e della centralità del Terzo Polo. L'obiettivo è quello di rendere duraturo l'equilibrio che si è costituito a partire dall'insediamento di Monti al governo. Il centro sparirebbe, sarebbe irrilevante, se costretto a fare una scelta di campo prima delle elezioni. Per questo motivo gli si vuole lasciare la possibilità di fare una scelta di campo solamente dopo il momento del voto.

Non in linea con la stabilità di sistema da lei invocata?
In Italia il problema è la Costituzione. È la Carta che dovrebbe favorire la stabilità del paese. Il testo è ormai datato: prevede un governo molto debole, perché è stato scritto quando l'ombra del fascismo rendeva prioritaria l'istanza che una simile esperienza non potesse più ripetersi. Ma oggi va cambiato.

In che modo?
Bisogna permettere ai cittadini di scegliere chi li governa. La Francia fra una settimana va al voto: quel sistema potrebbe funzionare anche da noi.

Quello del semi-presidenzialismo è un vecchio cavallo di battaglia della destra italiana.
È questo il paradosso: si sta andando in una direzione radicalmente opposta rispetto alle istanze su cui si fonda il centrodestra italiano.

È un sentimento diffuso nel suo partito?
Ho partecipato al tavolo convocato un paio di mesi fa da Angelino Alfano proprio su questi temi. Quello che sto dicendo è stato affermato da pareri più autorevoli del mio, di chi conosce gli aspetti tecnici della materia e ha contribuito a passate riforme. Gli interventi di Domenico Nania, Osvaldo Napoli e Andrea Pastore sono andati in questa direzione. Sono rimasti tutti storditi dalla piega che hanno preso gli eventi, perché la posizione che ha poi assunto il partito è stata del tutto antitetica rispetto a quanto emerso in quella sede.

Per quale motivo?
Perché si sono messi da parte i veri obiettivi e si è deciso di ragionare solo su quello che è possibile ottenere. 

Un modo di condurre la trattativa che non le piace?
Come sta andando la trattativa lo sa solamente chi siede al tavolo degli esperti. Tutto il partito, anche gli ex ministri, apprende le notizie dei giornali. Probabilmente il governo esercita pressioni sui vertici del partito affinché non pongano troppe difficoltà. Il documento che ho sottoscritto indica chiaramente che c'è un problema politico.

I vertici del partito sembrano andare per la propria strada.
Sicuramente. Ma o qualcuno si adopera per convincerci della bontà di quella direzione, o noi continuiamo a non esserne convinti.

Non si è fatto sentire nessuno?
No.

Su questo tema rischia di cadere il governo?
Non credo. L'esecutivo andrà a casa quando e se deciderà che è venuto il momento. Altrimenti durerà fino alla scadenza della legislatura. A nessuno dei componenti della maggioranza oggi conviene tatticamente anticipare i tempi del voto. 

Non sembra condividere questa scelta.
Il problema di Monti è che è stato vittima della propaganda anti berlusconiana. Si è convinto che il problema fosse Berlusconi, e che sparito il Cavaliere dalla scena pubblica le cose si sarebbero aggiustate da sole. Ma non ha fatto i conti con i tanti problemi strutturali del nostro paese.

Ad esempio?
Basti pensare come si è arenato sulla riforma del lavoro. Pensava di incidere nel sistema come il coltello affonda nel burro. Ma non ha fatto i conti con i tanti poteri corporativi che ne stanno ostacolando l'iniziativa.

Un giudizio negativo dunque?
Sì, per l'80% dei provvedimenti assunti. Per il restante 20% si tratta di decisioni marginali e ininfluenti. Mi sembra assurdo che un esecutivo che si presenta con l'obiettivo di risanare il dissesto economico dell'Italia inizi aumentando il prezzo della benzina. È una follia!

Troppa semplificazione dei problemi?
Si è sottovalutata la complessità della situazione. Non si può affrontare la riforma delle pensioni senza avere nell'ottica la riforma del lavoro. O il gettito fiscale senza mettere in cantiere un'adeguata riforma. Ma anche l'evasione senza prima aver dato risposte al problema dell'eccessiva tassazione.

Immagino sia contrario alla prosecuzione, in qualche forma, all'esperienza tecnica anche dopo il 2013.
Spero che sia una parentesi dalla durata più breve possibile. In un paese o c'è la democrazia, oppure no. E qualunque governo che non nasca da una maggioranza espressa dal voto popolare è una iattura.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:20