martedì 17 aprile 2012
Aumentano di giorno in giorno i deputati del Popolo della libertà che potrebbero non votare un eventuale accordo sulle riforme. Soprattutto se dovesse prevedere la costituzione della maggioranze di governo solamente dopo le elezioni. Molti si oppongono anche alle ipotesi di riforma della legge elettorale in senso proporzionale. Alcuni provengono dall'esperienza di Forza Italia, e vorrebbero recuperarne l'originaria spinta al cambiamento. Altri hanno un passato tra le fila della destra italiana. E sono rimasti fedeli allo spirito del maggioritario e del presidenzialismo della fu Alleanza Nazionale. È il caso di Marcello De Angelis, onorevole pidiellino e direttore del Secolo d'Italia, che con alcuni compagni di partito ha firmato nei giorni scorsi un appello proprio in questa direzione. «Potrebbero essere tra trenta e cinquanta i deputati decisi a non votare un accordo sulle riforme per come sta emergendo in queste settimane», conferma De Angelis.
Quali sono gli aspetti che non vi convincono?
Il problema è molto semplice: la politica deve smettere
di farsi dettare l'agenda dalla stampa e dall'opinione pubblica. Si
pensi a quello che sta succedendo con il finanziamento pubblico ai
partiti. O alla delegittimazione del parlamento. Occorrerebbero
risposte semplici e incisive, ma per la fretta si ricorre a
soluzioni deliranti e confusionarie.
Lo stesso problema lo riscontra con le riforme
istituzionali?
Esattamente. In quel caso si cerca di mettere insieme le
fave con le rape. Adottare i modelli altrui è sempre catastrofico.
Cercare poi di mettere insieme in Italia un sistema elettorale che
mescoli quello tedesco a quello spagnolo è assurdo.
Cosa si dovrebbe fare?
Parlare agli elettori. Senza tanti fronzoli, proporre
alternative di facile lettura: da una parte il proporzionale,
dall'altra il maggioritario. Perché il vero problema, la cui
soluzione passa per la legge elettorale ma non riguarda solo
questa, è l'ingovernabilità del paese. E se un passo avanti lo si
era fatto dai tempi della Prima repubblica, era stato quello in
direzione della stabilità di governo. Anche se non nella
Costituzione, erano stati introdotti il bipolarismo e l'indicazione
del premier. La riforma che si sta delineando è un passo indietro,
e non si fonda sull'interesse pubblico.
E a quali interessi fa riferimento?
Alla salvaguardia del protagonismo e della centralità del
Terzo Polo. L'obiettivo è quello di rendere duraturo l'equilibrio
che si è costituito a partire dall'insediamento di Monti al
governo. Il centro sparirebbe, sarebbe irrilevante, se costretto a
fare una scelta di campo prima delle elezioni. Per questo motivo
gli si vuole lasciare la possibilità di fare una scelta di campo
solamente dopo il momento del voto.
Non in linea con la stabilità di sistema da lei
invocata?
In Italia il problema è la Costituzione. È la Carta che
dovrebbe favorire la stabilità del paese. Il testo è ormai datato:
prevede un governo molto debole, perché è stato scritto quando
l'ombra del fascismo rendeva prioritaria l'istanza che una simile
esperienza non potesse più ripetersi. Ma oggi va cambiato.
In che modo?
Bisogna permettere ai cittadini di scegliere chi li
governa. La Francia fra una settimana va al voto: quel sistema
potrebbe funzionare anche da noi.
Quello del semi-presidenzialismo è un vecchio cavallo di
battaglia della destra italiana.
È questo il paradosso: si sta andando in una direzione
radicalmente opposta rispetto alle istanze su cui si fonda il
centrodestra italiano.
È un sentimento diffuso nel suo partito?
Ho partecipato al tavolo convocato un paio di mesi fa da
Angelino Alfano proprio su questi temi. Quello che sto dicendo è
stato affermato da pareri più autorevoli del mio, di chi conosce
gli aspetti tecnici della materia e ha contribuito a passate
riforme. Gli interventi di Domenico Nania, Osvaldo Napoli e Andrea
Pastore sono andati in questa direzione. Sono rimasti tutti
storditi dalla piega che hanno preso gli eventi, perché la
posizione che ha poi assunto il partito è stata del tutto
antitetica rispetto a quanto emerso in quella sede.
Per quale motivo?
Perché si sono messi da parte i veri obiettivi e si è
deciso di ragionare solo su quello che è possibile
ottenere.
Un modo di condurre la trattativa che non le
piace?
Come sta andando la trattativa lo sa solamente chi siede
al tavolo degli esperti. Tutto il partito, anche gli ex ministri,
apprende le notizie dei giornali. Probabilmente il governo esercita
pressioni sui vertici del partito affinché non pongano troppe
difficoltà. Il documento che ho sottoscritto indica chiaramente che
c'è un problema politico.
I vertici del partito sembrano andare per la propria
strada.
Sicuramente. Ma o qualcuno si adopera per convincerci
della bontà di quella direzione, o noi continuiamo a non esserne
convinti.
Non si è fatto sentire nessuno?
No.
Su questo tema rischia di cadere il governo?
Non credo. L'esecutivo andrà a casa quando e se deciderà
che è venuto il momento. Altrimenti durerà fino alla scadenza della
legislatura. A nessuno dei componenti della maggioranza oggi
conviene tatticamente anticipare i tempi del voto.
Non sembra condividere questa scelta.
Il problema di Monti è che è stato vittima della
propaganda anti berlusconiana. Si è convinto che il problema fosse
Berlusconi, e che sparito il Cavaliere dalla scena pubblica le cose
si sarebbero aggiustate da sole. Ma non ha fatto i conti con i
tanti problemi strutturali del nostro paese.
Ad esempio?
Basti pensare come si è arenato sulla riforma del lavoro.
Pensava di incidere nel sistema come il coltello affonda nel burro.
Ma non ha fatto i conti con i tanti poteri corporativi che ne
stanno ostacolando l'iniziativa.
Un giudizio negativo dunque?
Sì, per l'80% dei provvedimenti assunti. Per il restante
20% si tratta di decisioni marginali e ininfluenti. Mi sembra
assurdo che un esecutivo che si presenta con l'obiettivo di
risanare il dissesto economico dell'Italia inizi aumentando il
prezzo della benzina. È una follia!
Troppa semplificazione dei problemi?
Si è sottovalutata la complessità della situazione. Non si può
affrontare la riforma delle pensioni senza avere nell'ottica la
riforma del lavoro. O il gettito fiscale senza mettere in cantiere
un'adeguata riforma. Ma anche l'evasione senza prima aver dato
risposte al problema dell'eccessiva tassazione.
Immagino sia contrario alla prosecuzione, in qualche
forma, all'esperienza tecnica anche dopo il 2013.
Spero che sia una parentesi dalla durata più breve
possibile. In un paese o c'è la democrazia, oppure no. E qualunque
governo che non nasca da una maggioranza espressa dal voto popolare
è una iattura.
di Pietro Salvatori