Per il premier Mario Monti non è finita solo la "luna di miele" con l'opinione pubblica interna, come segnala il Financial Times nel secondo di due articoli consecutivi dedicati alle difficoltà dell'economia italiana e agli effetti nocivi della ricetta Monti; sta finendo anche la "luna di miele" con la grande stampa del mondo finanziario internazionale.
Il problema delle politiche di austerity italiane, osserva il WSJ, è che «il grosso delle misure è costituito da aumenti di tasse - sui redditi dei lavoratori, ma anche sui consumi e sui patrimoni - che a giudizio di molti economisti hanno un maggiore effetto recessivo rispetto ai tagli alla spesa». Economisti tra cui figura il governatore della Bce Mario Draghi, che in una recente intervista proprio al WSJ distingueva tra un'austerità "buona", in cui si mantengono le tasse basse e si taglia la spesa pubblica, e una "cattiva", politicamente più facile da attuare, perché si possono ottenere buoni numeri alzando le tasse senza tagliare la spesa corrente, ma deprimendo il potenziale di crescita.
Un altro motivo di preoccupazione è che a dispetto dei tour del premier nelle principali piazze finanziarie del pianeta (prima la City e Wall Street, poi il Nikkei e la Cina), per comunicare la svolta riformatrice in corso e rappresentare dunque la restaurata solidità dell'economia italiana, gli investitori stranieri - secondo il Financial Times, che cita a riguardo funzionari e analisti - «non stanno tornando ad acquistare titoli italiani». Spinto in su anche dalla deludente asta spagnola e dalla Fed, che non avrebbe intenzione di iniettare altra liquidità nel sistema, lo spread ha nuovamente superato i 350 punti, con il rendimento dei BTp a 10 anni ben oltre il 5%. E se i rendimenti sui titoli di Stato tornano a salire, come sta accadendo in questi ultimi giorni, le banche italiane che hanno utilizzato i prestiti Bce per acquistare debito domestico vanno incontro a ulteriori perdite, che rischiano di aggravare il "credit crunch" in atto.
Fino ad ora ha goduto di un'apertura di credito basata soprattutto sul curriculum personale e la sobrietà del professor Monti, che nulla possono però di fronte ai dati nudi e crudi dell'economia italiana e degli effetti concreti, misurabili, delle sue politiche. L'unica riforma di un certo rilievo resta quella delle pensioni, per il resto solo tasse che hanno depresso l'economia, aggravando una recessione che rischia di compromettere gli impegni di risanamento. Dopo 3-4 mesi sta già venendo via il trucco; dopo l'"impressionante" salva-Italia, il flop sull'articolo 18 rischia di smascherare il Bluff-Italia.
Secondo il Financial Times, tuttavia, dalla sua visita in Asia il premier avrebbe dedotto che gli investitori temono più l'instabilità politica che riforme non proprio incisive, e questo avrebbe convinto Monti a cedere al compromesso sull'articolo 18, piuttosto che rischiare di spaccare il Pd e perdere la sua maggioranza. Ma così facendo Monti finirebbe esattamente laddove solo pochi giorni fa si era detto indisponibile ad arrivare, e cioè ad anteporre il «tirare a campare», e in ultima analisi il disegno tutto politico di una "Grande Coalizione" anche dopo le elezioni del 2013, all'agenda riformatrice che il suo governo è stato incaricato di attuare. Il vertice di ieri sera con il trio ABC sulla riforma del lavoro è solo un primo assaggio di cosa intendono concretamente i partiti italiani con "Grande Coalizione": non un'eccezione per condividere i costi di scelte impopolari ma responsabili, ma una palude in cui annacquare tutto senza farsi del male a vicenda.
Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 16:06