giovedì 5 aprile 2012
Per il premier Mario Monti non è finita solo la "luna di miele" con l'opinione pubblica interna, come segnala il Financial Times nel secondo di due articoli consecutivi dedicati alle difficoltà dell'economia italiana e agli effetti nocivi della ricetta Monti; sta finendo anche la "luna di miele" con la grande stampa del mondo finanziario internazionale.
Un altro motivo di preoccupazione è che a dispetto dei tour del premier nelle principali piazze finanziarie del pianeta (prima la City e Wall Street, poi il Nikkei e la Cina), per comunicare la svolta riformatrice in corso e rappresentare dunque la restaurata solidità dell'economia italiana, gli investitori stranieri - secondo il Financial Times, che cita a riguardo funzionari e analisti - «non stanno tornando ad acquistare titoli italiani». Spinto in su anche dalla deludente asta spagnola e dalla Fed, che non avrebbe intenzione di iniettare altra liquidità nel sistema, lo spread ha nuovamente superato i 350 punti, con il rendimento dei BTp a 10 anni ben oltre il 5%. E se i rendimenti sui titoli di Stato tornano a salire, come sta accadendo in questi ultimi giorni, le banche italiane che hanno utilizzato i prestiti Bce per acquistare debito domestico vanno incontro a ulteriori perdite, che rischiano di aggravare il "credit crunch" in atto.
Secondo il Financial Times, tuttavia, dalla sua visita in Asia il premier avrebbe dedotto che gli investitori temono più l'instabilità politica che riforme non proprio incisive, e questo avrebbe convinto Monti a cedere al compromesso sull'articolo 18, piuttosto che rischiare di spaccare il Pd e perdere la sua maggioranza. Ma così facendo Monti finirebbe esattamente laddove solo pochi giorni fa si era detto indisponibile ad arrivare, e cioè ad anteporre il «tirare a campare», e in ultima analisi il disegno tutto politico di una "Grande Coalizione" anche dopo le elezioni del 2013, all'agenda riformatrice che il suo governo è stato incaricato di attuare. Il vertice di ieri sera con il trio ABC sulla riforma del lavoro è solo un primo assaggio di cosa intendono concretamente i partiti italiani con "Grande Coalizione": non un'eccezione per condividere i costi di scelte impopolari ma responsabili, ma una palude in cui annacquare tutto senza farsi del male a vicenda.
di Federico Punzi