Tutti i tifosi del presidente

Quando Giorgio Napolitano dice qualcosa, allora tutti, o quasi, non avendo idee chiare sul da farsi in questa fase politica, danno per buone le sue parole e le fanno proprie. Sia ben chiaro, non che sbaglino. La cosa che fa sorridere è il fatto che l'atteggiamento sembra essere quello del "se lo dice lui allora è giusto", "se lo ha detto il prof allora deve essere per forza così".
e così, l'altro ieri è bastato che "Re Giorgio" dicesse semplicemente che "serve una larga intesa per riformare il mondo del lavoro" che tutti si sono speticati nel parafrasare un concetto piuttosto elementare. Quasi a voler prendere un "bravo bravissimo", neanche fossimo alle elementari.
Il primo della lista è Renato Schifani, il Presidente del Senato, che ha paludito il richiamo alla "moralità della politica" come volano per il futuro del Paese e per la certezza delle scelte a venire del Parlamento. Mario Monti a seguire, ha detto che il richiamo alla collegialità delle scelte dovrebbe essere il faro del nuovo corso delle politiche del Lavoro.
Per non parlare di tutto il centro sinistra che, anche se di fronte a politche smaccatamente conservatrici, si sperticano in ogni dove in difesa delle dichiarazione di Napolitano, anche quando evidentemente contrarie al teorico approccio social democratico del welfare e delle tutele dei lavoratori.
Insomma, tutti a lodare le parole del Capo dello Stato, mentre, a colpi di tassazione e (poco) recupero dell'evasione, la crescita stenta a partire, l'occupazione non riparte e l'Europa ci chiede ancora sacrifici. I redditi scendono, le imprese chiudono, le banche fanno i loro interessi investendo in prodotti finanziari invece di rilanciare il credito.
Ma tutti elogiano le frasi quasi retoriche del Presidente, quasi a ritagliargli su misura il vestito del capro espiatorio della propri ignavia. Proprio così. L'ignavia di una classe politica incapace di prendere decisioni e di portarle a buon fine. Incapace di produrre alternative valide alla macelleria sociale in atto e interessata solo a costruire la prossima campagna elettorale che, ad ogni buon conto, dovrebbe impegnarli su cose più "facili", sin dai prossimi mesi.
L'economia è piuttosto semplice: Se non ho i soldi, non compro. Se non compro, l'imprenditore non produce. Se l'imprenditore non produce non dà lavoro. Se non dà lavoro crea disoccupazione. E il disoccupato non ha stipendio. Quindi non compra. E così via. Ora, perché non sostenere il reddito invece di pensare sempre e solo alle imprese, che tanto non venderebbero neanche ai loro (pochi) dipendenti? Il lavoro è un investimento.
Ma ragionamenti del genere, in questo momento storico di Professori al governo, potrebbe essere l'anticamera di una lettera scarlatta. Di fronte a questa malaugurata ipotesi, vale la pena madare avanti gli altri e dargli ragione. In questo caso, il Presidente della Repubblica che, fino a prova contraria e in mancanza di altre idee, nella sua felice e semplice lucidità, non può avere torto.

Aggiornato il 04 aprile 2017 alle ore 15:50