mercoledì 21 marzo 2012
Quando Giorgio Napolitano dice qualcosa, allora tutti, o quasi,
non avendo idee chiare sul da farsi in questa fase politica, danno
per buone le sue parole e le fanno proprie. Sia ben chiaro, non che
sbaglino. La cosa che fa sorridere è il fatto che l'atteggiamento
sembra essere quello del "se lo dice lui allora è giusto", "se lo
ha detto il prof allora deve essere per forza così".
e così, l'altro ieri è bastato che "Re Giorgio" dicesse
semplicemente che "serve una larga intesa per riformare il mondo
del lavoro" che tutti si sono speticati nel parafrasare un concetto
piuttosto elementare. Quasi a voler prendere un "bravo bravissimo",
neanche fossimo alle elementari.
Il primo della lista è Renato Schifani, il Presidente del Senato,
che ha paludito il richiamo alla "moralità della politica" come
volano per il futuro del Paese e per la certezza delle scelte a
venire del Parlamento. Mario Monti a seguire, ha detto che il
richiamo alla collegialità delle scelte dovrebbe essere il faro del
nuovo corso delle politiche del Lavoro.
Per non parlare di tutto il centro sinistra che, anche se di
fronte a politche smaccatamente conservatrici, si sperticano in
ogni dove in difesa delle dichiarazione di Napolitano, anche quando
evidentemente contrarie al teorico approccio social democratico del
welfare e delle tutele dei lavoratori.
Insomma, tutti a lodare le parole del Capo dello Stato, mentre, a
colpi di tassazione e (poco) recupero dell'evasione, la crescita
stenta a partire, l'occupazione non riparte e l'Europa ci chiede
ancora sacrifici. I redditi scendono, le imprese chiudono, le
banche fanno i loro interessi investendo in prodotti finanziari
invece di rilanciare il credito.
Ma tutti elogiano le frasi quasi retoriche del Presidente, quasi a
ritagliargli su misura il vestito del capro espiatorio della propri
ignavia. Proprio così. L'ignavia di una classe politica incapace di
prendere decisioni e di portarle a buon fine. Incapace di produrre
alternative valide alla macelleria sociale in atto e interessata
solo a costruire la prossima campagna elettorale che, ad ogni buon
conto, dovrebbe impegnarli su cose più "facili", sin dai prossimi
mesi.
L'economia è piuttosto semplice: Se non ho i soldi, non compro. Se
non compro, l'imprenditore non produce. Se l'imprenditore non
produce non dà lavoro. Se non dà lavoro crea disoccupazione. E il
disoccupato non ha stipendio. Quindi non compra. E così via. Ora,
perché non sostenere il reddito invece di pensare sempre e solo
alle imprese, che tanto non venderebbero neanche ai loro (pochi)
dipendenti? Il lavoro è un investimento.
Ma ragionamenti del genere, in questo momento storico di
Professori al governo, potrebbe essere l'anticamera di una lettera
scarlatta. Di fronte a questa malaugurata ipotesi, vale la pena
madare avanti gli altri e dargli ragione. In questo caso, il
Presidente della Repubblica che, fino a prova contraria e in
mancanza di altre idee, nella sua felice e semplice lucidità, non
può avere torto.
di Francesco di Majo