TikTok vade retro! Non bussate a questa porta

Quanto sono a rischio i social Made in China? A quanto pare, stando al Congresso degli Stati Uniti, il più diffuso di loro, come TikTok, si configurerebbe come uno strumento planetario di “Surveillance State” (Stato di sorveglianza), all’interno delle cyberwar e delle guerre ibride tra Occidente e il Global South di Russia e Cina. Cosicché, l’Amministrazione Usa da tempo spingeva per una vendita parziale del social cinese ad aziende statunitensi, in modo da interrompere l’enorme flusso quotidiano di informazioni sensibili degli utenti americani che va ad alimentare i Big Data dei server posizionati nel territorio della madrepatria cinese. Dietro le quinte delle inevitabili polemiche tra liberisti e protezionisti, un manipolo di giuristi americani vicini all’Amministrazione Usa hanno messo a punto un provvedimento di legge bipartisan (soprannominato “Thunder run”, o effetto tuono disorientante), approvato dalle Camere e firmato dal presidente Joe Biden nello scorso mese di aprile, in cui si impone a ByteDance (proprietaria cinese del network) di cedere la quota di maggioranza, che rappresenta la soluzione preferita data la popolarità di cui gode TikTok in America, ovvero di essere messa al bando dall’Internet statunitense. Le veste giuridica, attentamente studiata dai legislatori, dovrebbe essere “a prova di proiettile”, nel senso di poter resistere in qualunque grado di giudizio all’impugnazione del provvedimento stesso da parte dei legali di ByteDance.

La legge anti TikTok giunge alla conclusione di un lungo processo iniziato ai tempi dell’Amministrazione di Donald Trump, all’interno delle iniziative governative per la tutela della sicurezza nazionale, in quanto le leggi cinesi sulle piattaforme digitali impongono ai loro gestori il trasferimento ad Agenzie di sicurezza governative dell’intero traffico dati. Occorreva, quindi, un’azione legislativa decisa per impedire a Pechino di appropriarsi di informazioni sensibili dei cittadini statunitensi. Del resto, è fondato il timore che le interferenze dell’Ai veicolata da TikTok possano condizionare i processi elettorali Usa, influenzando l’opinione pubblica americana. L’iniziativa legislativa bipartisan del Congresso (approvata anche dal Senato americano) ha subito una drastica accelerazione quando, a seguito della guerra a Gaza, TikTok ha iniziato a diffondere intenzionalmente contenuti pro-Hamas e anti-israeliani. In passato, l’Amministrazione Usa ha pazientato per anni che TikTok desse attuazione al così detto “Project Texas” (giudicato del resto inadeguato, per corrispondere agli standard americani di sicurezza) proposto dalla stessa piattaforma, per separare i dati sensibili dei cittadini statunitensi dal resto dell’operatività della compagnia. Nel redigere il provvedimento di legge anti-TikTok, gli estensori hanno tenuto conto delle contestazioni possibili da parte della proprietà cinese, sulla base del Primo emendamento che, però, trova i suoi limiti costituzionali nel rispetto delle questioni di sicurezza nazionale, dato che il social espone alla propaganda cinese 170 milioni di utenti americani.

A seguito dell’approvazione con ampia maggioranza della legge al Congresso e al Senato, TikTok ha immediatamente reagito inondando di pop-up la sua app, nell’intento di stimolare un ampio sostegno popolare, con l’invito ai suoi utenti a protestare con i loro rappresentanti parlamentari per la revoca del provvedimento. La legge anti TikTok, specificando in maggior dettaglio le ragioni di sicurezza rispetto a quella approvata in prima battuta dal Congresso, dà nove mesi di tempo alla proprietà per cedere le sue quote azionarie ad aziende americane. La misura ai danni del social cinese segue a stretto giro di ruota la censura imposta da Pechino alla Apple che opera nel suo territorio, imponendole di bloccare all’interno dei propri confini i download di WhatsApp, Thread e Signal. In Cina, del resto, è vietato connettersi con un’altra decina di provider che forniscono informazioni, inclusi Wikipedia e New York Times, dopo che per anni il Governo cinese ha sottoposto a forme aggressive di sorveglianza giornalisti e dissidenti. In passato, ByteDance ha tentato di sottrarsi al bando evidenziando che il 60 per cento delle sue azioni sono nelle mani di società americane, come il Carlyle Group, General Atlantic e Susquehanna International Group, senza però riuscire a dimostrare perché la sua infrastruttura, interamente basata sul territorio cinese, potesse considerarsi indipendente dalla rigida regolazione nazionale sul traffico dati delle piattaforme informatiche Made in China.

Gli analisti americani, e non solo, fanno notare come siano vitali per una Nazione libera gli aspetti connessi al controllo della Rete per la costruzione di una società civile futura, essendo ormai definitivamente tramontato con l’avvento dello Stato di sorveglianza l’irenismo di chi agli albori di Internet, nel ventennio 1970-1990, si illudeva che la sua diffusione avrebbe creato armonia tra i popoli e le loro nazioni. Del resto, la frammentazione della rete globale è già un dato di fatto, dopo la creazione di Internet nazionali chiuse, come è già avvenuto nel caso di Cina, Russia e Iran, che hanno introdotto legislazioni censorie e liberticide, per impedire qualunque accesso dall’esterno alle loro opinioni pubbliche. Aspettiamo ora l’Europa, per vedere come reagirà alla mossa americana. C’è da scommettere che adotterà un profilo basso, con ogni probabilità, per non dispiacere a Xi Jinping!

Aggiornato il 10 maggio 2024 alle ore 10:17