Big Tech: immunità legale addio

Da più di 25 anni a questa parte, una legge negli Stati Uniti – la cosiddetta Sezione 230 – protegge le aziende tecnologiche da azioni penali per i contenuti pubblicati. Ma questa situazione potrebbe cambiare all’improvviso. I giganti del web potrebbero diventare, come i normali editori, responsabili in solido dei contenuti pubblicati dai loro utenti. Per esempio, un post su Facebook, su Twitter o su Google, potrebbe comportare responsabilità sia penali che civili alle Big tech. La Corte suprema degli Usa dovrebbe infatti riesaminare, in settimana, la legge che rende immuni queste aziende. L’esito di questa storica revisione potrebbe rivoluzionare il mondo it e aprire la strada ad azioni risarcitorie in massa.

Nelle due udienze in programma martedì e mercoledì prossimo, l’Alta Corte dovrà esprimersi sulle cause intentate dalle vittime di attacchi jihadisti che accusano Google e Twitter di “aiutare”, diffondendone la propaganda, la compagine dello Stato islamico. Le sentenze sono previste non oltre il 30 giugno 2023, e potrebbero modificare la legge, datata 1996, considerata un pilastro di Internet. La sostanza del decreto in questione, difatti, esclude responsabilità oggettive delle piattaforme, per evitare che le aggressioni legali possano intralciarne la crescita. Le Big tech hanno un Pil che fa invidia perfino ad alcune nazioni. Ma il vento potrebbe cambiare.

Ora che i giganti tecnologici non godono più della stessa considerazione che vantavano all’inizio della loro avventura, l’immunità precedentemente accordata sembra avere i giorni contati. La grande quantità di messaggi razzisti e complottisti che le varie piattaforme hanno fatto circolare stonano con la forte censura che – come sottolinea la destra americana – ha colpito, ad esempio, Donal Trump, che è stato reintegrato sui vari social solo pochi giorni fa. Il terreno sembrerebbe fertile per l’intervento della Corte suprema sulla Sezione 230. La parte lesa (ovvero le grandi aziende web) mette in guardia sulla decisione di questa settimana, che potrebbe avere un “impatto catastrofico”. “Esporre i servizi online a cause legali li esporrebbe a continui reclami”, ha dichiarato Meta in un documento inviato alla Corte.

A mettere pressione sull’organo giudiziario, una trentina di Stati, sia democratici che repubblicani, associazioni di protezione dell’infanzia e di polizia. C’è l’intenzione di mettere le Big tech di fronte alle loro responsabilità. Per quanto riguarda la causa intentata dalle vittime di attacchi jihadisti, non ci sarebbe bisogno di entrare nel merito del dibattito sulla Sezione 230, poiché una Corte d’appello avrebbe stabilito che il social network potrebbe essere anche perseguito unicamente sulla base delle leggi antiterrorismo. La piattaforma, quindi, sarebbe considerata complice dell’attacco, a causa della negligenza nel rimuovere i contenuti del gruppo terroristico. Anche Twitter si è rivolto alla Corte Suprema, nella speranza di ribaltare questa decisione. “Ci si chiede cosa potranno fare le aziende per evitare di essere perseguite ai sensi delle leggi antiterrorismo”, hanno scritto gli avvocati del social, “anche se tentassero (gli impiegati dell’azienda, ndr) di rimuovere i contenuti, un querelante potrebbe comunque accusarle di non aver fatto abbastanza”, concludono i legali.

Aggiornato il 20 febbraio 2023 alle ore 16:44