La dura legge di Alphabet

“Un uomo è solo al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto Coppi” è roba per i più romantici. Adesso, invece, al timone c’è chi ha registrato, nel quarto trimestre fiscale del 2021, ricavi che ammontano a quasi 75 miliardi di dollari, con un fatturato (relativo all’anno trascorso) che ha toccato quota 257,637 miliardi di dollari. Stiamo parlando di Alphabet, al secolo la holding che controlla Google, mica pizza e fichi.

Utili praticamente raddoppiati (in confronto al 2020) e aspettative che sono andate oltre le più rosee aspettative di mercato: lo shopping in rete, nel periodo della pandemia, ha regalato gioie al colosso a stelle e strisce, nonostante la sospensione di campagne e promozioni da parte degli inserzionisti. Ruth Porat, chief financial officer di Alphabet, ha detto: “Le nostre entrate trimestrali, in aumento del 32 per cento su base annua, riflettono una forte spesa pubblicitaria in tutti i format e una forte presenza di consumatori on-line, nonché una sostanziale crescita dei ricavi per Google Cloud”.

Sundar Pichai, ceo di Google, può solo che sorridere: “Il nostro profondo investimento nelle tecnologie di intelligenza artificiale continua a promuovere esperienze straordinarie e utili per le persone e le aziende, attraverso i nostri prodotti più importanti”. Lo stesso Pichai ha ricordato la crescita dell’attività pubblicitaria “che ha aiutato milioni di aziende a prosperare e trovare nuovi clienti, un record di vendite trimestrali per i nostri telefoni Pixel nonostante i vincoli di fornitura e la nostra attività nel cloud ha continuato a crescere fortemente”.

Chi corre da solo può essere felice, certo. Ma non sempre la strada è in discesa. Sotto l’Amministrazione di Donald Trump, per esempio, il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha annunciato di aver avviato una causa antitrust verso Alphabet. Il motivo? Il Governo ha puntato il dito contro Google, poiché – a suo dire – avrebbe un monopolio su tutti gli altri motori di ricerca. E il tutto porterebbe a una mancanza di concorrenza di mercato. Senza dimenticare quanto accaduto in estate, quando The Donald ha citato in giudizio Alphabet (ma anche Facebook e Twitter): “Gli avvocati di Trump – riportò Il Sole 24 Ore – chiedono che il Tribunale ripristini gli account sui social media dell’ex presidente, più un risarcimento danni, al fine di garantire che altri utenti non possano essere banditi o segnalati dai giganti tech”.

Intanto, alla faccia di reclami e multe, l’azienda prevede che la crescita andrà avanti anche nel 2022: la pubblicità digitale, secondo le stime, dovrebbe riempire le casse del colosso di Mountain View grazie al suono di 171 miliardi di dollari. Insomma, dalla dura legge del gol a quella di Google il passo è breve. Dopotutto, scomodando i Dire Straits, verrebbe quasi da canticchiare money for nothing and your chicks for free.

Aggiornato il 02 febbraio 2022 alle ore 15:59