Ritratti. Pes: oltre il mito

Sto lontano dallo stress, fumo un po’ e dopo gioco a Pes cantano i Club Dogo. Un ritornello che ha reso omaggio a una saga leggendaria, un videogioco che ha si è diviso il trono con Fifa tra gli amanti del genere. Una serie che va da International Superstar Soccer a World Soccer Winning Eleven fino a Pro Evolution Soccer. Giornate interminabili, le cosiddette chiuse in stanze più o meno accomodanti con posaceneri stracolmi e livelli di rabbia agonistica oltre il limite della pubblica decenza.

Dalla Master League, a capitan Cellini fino a Minanda, Ximenes, Castolo e Macco. Ma anche nomi storpiati, squadre inventate e chi più ne ha, più ne metta. Alzi la mano chi, sfiorando una console della Playstation più o meno bisunta, non gli sia capitato – anche per caso – di passare davanti a una rielaborazione calcistica molto simile alla realtà, per tifo e giocabilità. Un pezzo della nostra gioventù, che non faceva prigionieri: ricchi, poveri, borghesi, proletari, antisistema, nostalgici e qualunquisti quanto basta.

Le sfide, i tornei, i ritrovi natalizi tra panettone, Lambrusco da due litri a buon mercato, torroni, spumante del discount. Non serviva altro, era lì tutto lo stretto necessario. La serie Konami ci ha coccolato, passo dopo passo, fino a oltre la metà degli anni 2000. Poi c’è stata una lenta discesa. Ma non importa.

Pes è parte di uno spaccato di vita che non tornerà. È l’esultanza in faccia all’amico, la vittoria al novantesimo, la scusa per non studiare, il cuore oltre l’ostacolo, la scommessa. Pes è, e resta, tanta roba. Nonostante tutto.

Aggiornato il 29 luglio 2022 alle ore 18:12