Hamas, il gruppo islamista carnefice oltre che del “7 ottobre 2023” anche delle decine di migliaia di palestinesi della Striscia di Gaza, si sta rendendo consapevole che il suo futuro non può essere che buio e senza una patria. Intanto che i negoziati per un “silenzio delle armi” si dipanano tra numerosi tavoli di trattative composti dai più disparati attori, i palestinesi di Gaza continuano a subire gli effetti devastanti della cinica e crudele scelta di Hamas di non disarmarsi. Infatti, i leader del gruppo islamista respingono le richieste di disarmo fatte da Israele, proponendo un paradossale “stoccaggio degli armamenti”. Da parte sua il governo israeliano è categorico: i terroristi di Hamas e gli altri gruppi islamisti ad esso collegati saranno disarmati e la Striscia sarà smilitarizzata. Inoltre, né Hamas né i suoi complici locali potranno mai fare parte di un futuro governo di Gaza qualsiasi “fisionomia” possa assumere. Questa categorica affermazione apre nuovamente a un interrogativo, da me già espressa da tempo, ovvero: come potranno essere reimpiegati i circa 10-15mila miliziani di Hamas rimasti e divisi tra pseudo strateghi, improvvisati negoziatori e complessivamente terroristi che ancora controllano molte “manovre” a Gaza, che fino ad ora hanno goduto di finanziamenti provenienti quantomeno da Qatar e Iran e che hanno permesso ai loro capi di fare vita estremamente agiata sulla pelle dei palestinesi?
Solo a fine settimana scorsa il 69enne, potenziale disoccupato, un ex capo di Hamas, il ricco Khaled Meshaal, ha dichiarato che la “resistenza” islamista non accetterà mai il disarmo e che stanno mediando con interlocutori statunitensi affinché il gruppo resti con le armi a disposizione. In realtà ormai i capi ed ex capi di Hamas si stanno abituando all’idea che truppe israeliane si attestino lungo il virtuale confine che separa Gaza da Israele. Tuttavia si stanno opponendo, senza concreto potere negoziale, alla reale possibilità che l’esercito di Tel Aviv operi, ufficialmente, all’interno del territorio palestinese. Interdizione stipulata nell’accordo di cessate il fuoco entrato in vigore il 10 ottobre grazie alla orchestrata operazione “diplomatica” voluta da Donald Trump. Tale posizione è motivata dal significato che avrebbe la presenza israeliana nel territorio della Striscia di Gaza, ovvero una occupazione.
Ad oggi la prima fase di questo accordo è quasi conclusa, cioè la restituzione degli ostaggi vivi e morti detenuti a Gaza. Sembra che resti solo la riconsegna del corpo di un rapito. La controparte per Hamas è stata la liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi, generalmente terroristi, detenuti in Israele. La seconda fase legata al cessate il fuoco è in piena discussione, ovvero il disarmo di Hamas, come il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia di Gaza e il dispiegamento di una forza internazionale nel territorio palestinese, che è proposta da Hamas composta da Paesi arabi e islamici, ma quasi ignorata dagli Stati Uniti. Circa questa fase, Benjamin Netanyahu, capo del governo israeliano, ha dichiarato che conta di risolverla in breve tempo, tanto è che il 29 dicembre è previsto un incontro ufficiale con Donald Trump dedicato alla questione.
Ma che fine hanno fatto i leader di Hamas esiliati e i terroristi palestinesi liberati dallo Stato ebraico? Al momento è certo che sono mal tollerati nei Paesi dove sono stati destinati, e rifiutati in altri. Infatti sia in Iran, come in Libano ma anche in Egitto e Turchia, la loro presenza è ora quantomeno non gradita. Così circa i capi di Hamas in esilio nelle capitali dei Paesi del Vicino oriente, la loro presenza è ormai generalmente inaccettata, tanto è che sono sempre più emarginati dal contesto sociale. Passati in breve tempo da eroi di una “causa” a ospiti scomodi e senza prospettive. Così la maggior parte di questi terroristi che dopo la liberazione a metà ottobre sono stati accolti al Cairo per recuperare le forze dopo anni di prigionia, sono ora, vista la situazione che si sta sviluppando a Gaza, delle cupe figure che vagano tra varie residenze o nelle sale del Renaissance Mirage Hotel del Cairo, primo punto di accoglienza. La certezza è che stanno assumendo lo status di sans papiers, ovvero reietti senza una “pseudo madre patria” che li possa riaccogliere e senza che altro Stato sia disposto a dare ospitalità. Tra questi ci sono anche una ventina ex ergastolani capi di Hamas.
Comunque, anche se diventati scomodi e emarginati anche nella “sfera” dei Paesi arabi, i leader di Hamas ancora possono contare, per ora, sulla sopravvivenza; considerando che i servizi segreti israeliani hanno l’obiettivo di eliminare ovunque tutti i capi del gruppo islamista terrorista. Quindi, senza una scadenza temporale, che siano in Turchia o in Libano, o in Qatar, saranno annichiliti. Così è successo a gennaio 2024 a Beirut al numero due di Hamas, Saleh Al-Arouri, stroncato con un attacco di droni, e come replicato a Teheran a luglio a Ismail Hanyeh, numero uno del gruppo terroristico. A settembre 2025 poi una serie di missili israeliani ha colpito la sede dell’ufficio politico di Hamas a Doha, in Qatar. Molti capi sono riusciti a sfuggire all’attacco, ma sette esponenti di Hamas sono rimasti uccisi tra cui il figlio del capo negoziatore, Khalil Al-Hayya.
Tuttavia, ribadisco la questione cruciale che resta aperta: se Hamas sarà disarmato e perderà ogni capacità negoziale per poter restare sul campo almeno con ruoli marginali, come sopravvivranno i suoi affiliati senza finanziamenti provenienti dal terrorismo islamista internazionale, e come si sosterranno le alcune migliaia di “dipendenti” del gruppo islamista ora impegnati in ambigui ruoli di sicurezza e altro a Gaza? Infine, quelle centinaia di ex ergastolani e ex prigionieri ora liberi per quanto tempo saranno sopportati e supportati dagli Stati arabi accoglienti sapendo che magari non avranno più una specie di patria che li possa riprendere?
La realtà è che Hamas non potrà sopravvivere che nel terrorismo, diluito o meno, e che il nuovo riassetto del Vicino oriente, al momento, non prevede la presenza del gruppo islamista fautore involontario del crollo del terrorismo islamista sostenuto dal traballante governo degli ayatollah.
Aggiornato il 15 dicembre 2025 alle ore 11:44
