
Preoccupa che la popolazione europea ed italiana si schieri sull’eventuale Guerra Mondiale quasi si trattasse d’un incontro di calcio, in cui si confrontino favorevoli e contrari al conflitto. È evidente gran parte delle persone s’esprima senza aver mai vissuto gli effetti d’una guerra. Chi come militare ha conosciuto il Libano del 1982 e da giornalista la ex Jugoslavia degli anni ’90 potrebbe raccontarci come la gente viveva in quei posti a noi temporalmente vicini. L’Ucraina ce la raccontano in tivù, e tanti seguono gli eventi quasi si tratti d’un gioco di ruolo. Iniziamo col dire che, se dovesse dichiararsi la Guerra Mondiale, l’Europa si troverebbe obtorto collo coinvolta. I prezzi dell’energia si decuplicherebbero qualora teatro di scontro fosse l’Iran, primo produttore mondiale di petrolio e principale partner energetico cinese. Poi ci sarebbe un rallentamento di forniture di semilavorati e componentistica, perché lo scenario bellico bloccherebbe i traffici commerciali via nave ed aereo. Non meno gravi risulterebbero le drastiche misure interne che adotterebbero gli stati europei. Basti solo pensare ad una immediata riduzione del contante, ad un necessario e certamente più ferreo coprifuoco rispetto a quello che abbiamo subito sotto pandemia (ovvero chi lo violasse verrebbe consegnato in caserma, cioè, arrestato), alla chiusura anticipata di tutte le attività commerciali, al blocco della circolazione in entrata ed uscita dai centri urbani, al contingentamento degli spostamenti via rotaia e treno, al blocco dei vettori di trasporto pubblico.
Cari signori, è la guerra, e nessuno stato o banca vi farebbe sconti dettati dal difficile momento, anzi ci sarebbe meno tolleranza verso chi non rispettasse le scadenze: perché la guerra è una macchina infernale che necessita di tutti i soldi disponibili, e naturalmente la cittadinanza verrebbe messa a stecchetto.
È logico che la decisione passi sopra la testa di noi inetti, lascivi e fantozziani europei. Perché sia davvero Guerra Mondiale dovrebbero interrompersi i colloqui tra Mosca, Washington e Pechino. Ovvero tra gestione politica del dollaro e controllori dei Brics: ipotesi non verosimile, perché la Guerra Mondiale non la vogliono Vladimir Putin e Donald Trump, soprattutto Xi Jinping disidererebbe evitarla.
La Gran Bretagna è l’unico paese che probabilmente ci guadagnerebbe dalla guerra, perché lamenta aver perso egemonia planetaria ed affari in favore di Usa, Cina e Russia. Va anche rammentato quanto la Gran Bretagna sia legata a fil doppio con Israele, a cui ha venduto la Palestina: in forza di quell’atto la Gran Bretagna s’impegnava ad offrire protezione alla comunità ebraica sin dal suo insediamento. Ovviamente dopo la Seconda Guerra Mondiale terminavano i colonialismi e pure i protettorati degli imperi, e nel novembre 1947 l’Assemblea generale Onu approvava la risoluzione che prevedeva la spartizione della Palestina in due stati, uno ebraico e l’altro arabo, e Gerusalemme veniva affidata a giurisdizione internazionale. Secondo gli ebrei, i britannici non farebbero mai fino in fondo il loro dovere, perché la protezione sarebbe rimasta solo sulla carta: soprattutto imputano l’inizio degli scontri al ritiro anticipato dei militari britannici nel maggio 1948.
Oggi Londra si sarebbe destata, probabilmente Netanyahu potrebbe aver ricordato loro che, Israele ha comprato quei territori e che la protezione britannica sarebbe stata da sempre all’acqua di rosa. Così, in considerazione che le grandi navi statunitensi sono impegnate fuori dal Mediterraneo e che gli Usa mantengono solo un normale presidio con dei cacciatorpediniere; la Gran Bretagna ha subito detto d’essere pronta ad entrare nel conflitto mediorientale a fianco di Israele, mobilitando la base cipriota della Royal Air Force (Raf) ad Akrotiri, da dove già partono gli attacchi agli Houthi nello Yemen. Quella è storicamente una zona d’interesse degli inglesi, che a Manama (in Bahrain) hanno una importante base. Seguono a ruota i francesi di Macron, anche loro certi di poterci guadagnare al futuro tavolo di pace. Ma Trump sa bene che una guerra in quei territori sarebbe a dir poco estenuante, e dopo vent’anni d’Afganistan una parte degli Usa preferire evitare un nuovo fronte mediorientale.
Soprattutto quella è storicamente una zona d’interesse inglese: lì, meno di duecento anni fa, l’impero britannico ha più volte cercato di soppiantare l’influenza russa nell’areale.
A molti era parsa una boutade l’affermazione di Donald Trump “Putin può mediare”: e certamente ha parlato così dopo aver ascoltato consulenti specializzati nella storia e nei luoghi. Gli inglesi ricordano bene quanto l’impero russo fosse inserito in tutto quel territorio che va dal Medioriente alla Asia. Territorio dove la Corona britannica ha tentato più volte di scalzare la presenza russa, per altro subendo sempre sconfitte e fallimenti. E Trump non vorrebbe mai e poi mai farsi intrappolare in quell’areale, piuttosto minaccia la guerra per poi costruire una più robusta pace commerciale con Cina e Russia: un po’ come ha già fatto con i dazi.
Attualmente i rapporti tra Londra e Washington non sono dei migliori, e la Gran Bretagna ha bisogno di rilanciarsi sullo scenario mondiale. Meno di quattro anni fa, le agenzie di stampa riportavano la notizia del primo attracco nel Mediterraneo (nel porto di Augusta) della portaerei Hms Queen Elizabeth, la più grande della Royal Navy britannica: un vettore importante, ma anche facile bersaglio. Va detto che una eventuale guerra sarebbe solo di tipo tradizionale, è ovvio che soprattutto Londra intenda mettere le mani sul più grande giacimento petrolifero mondiale, l’Iran. Il problema è il territorio e la popolazione non certo disponibile alla resa: gli iraniani sono circa 94milioni, mentre gli israeliani sono 10milioni. Ben si comprende che conquistare un territorio così vasto è cosa ardua per un Occidente che difficilmente potrebbe mettere insieme un esercito di milioni di soldati professionali.
Ecco perché Donald Trump prende tempo e risponde: “La mia decisione entro due settimane”, mentre Netanyahu incalza: “Aiuti sono benvenuti per colpire siti nucleari iraniani”. E Trump ribatte: “Basandoci sul fatto che c’è una possibilità concreta di trattative, che potrebbero avvenire o meno con l’Iran nel prossimo futuro, prenderò la mia decisione nelle prossime due settimane”. Messaggio di Donald Trump riportato ufficialmente da Karoline Leavitt, portavoce della Casa Bianca, nel briefing con la stampa.
La portavoce ripete che necessita avere: “Fiducia nel presidente Trump, ha intuizioni incredibili; il presidente ha tenuto l’America e il mondo al sicuro nel suo primo mandato, con la sua politica improntata alla pace attraverso la forza: nessuno dovrebbe essere sorpreso dalla posizione del presidente, secondo cui l’Iran non può assolutamente usare l’arma nucleare… Grazie alla leadership del presidente Trump, Ucraina e Russia hanno avviato negoziati diretti dopo anni. Il presidente è un peacemaker ma non ha paura di usare la forza”, chiosa la Leavitt.
Intanto salta fuori un dossier dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia nucleare) in cui si afferma che: “Teheran non starebbe lavorando per lo sviluppo del nucleare a fini bellici”. Trump è convinto che: “l’Iran ha tutto quello che serve per produrre un’arma nucleare, e manca solo la decisione della Guida Suprema”. È evidente che il presidente Usa intenda ricorrere alla diplomazia.
“Intanto l’inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, ha continuato i contatti con l’Iran”, dicono dalla Casa Bianca. E la fonte statunitense spiega che: “Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi ha detto a Witkoff che l’Iran potrebbe mostrare flessibilità sulla questione nucleare se gli Stati Uniti facessero pressioni su Israele per mettere fine alla guerra”. Le parole di Trump hanno provocato la nota risposta del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu all’emittente pubblica Kan: “Il presidente Trump farà ciò che è bene per gli Stati Uniti, e io farò ciò che è bene per lo Stato di Israele”.
Si legge che al momento l’Iran ha solo minacciato di chiudere lo stretto di Hormuz alla navigazione, in risposta all’attacco in corso da parte di Israele. Di fatto l’Iran ancora consente la libera navigazione nello Stretto e nel Golfo, almeno sarà così fino a che i suoi vitali interessi nazionali non vengano messi a rischio.
Una guerra tra due stati potrebbe assurgere a Guerra Mondiale, ma Trump non vuole questo. Anzi il conflitto mediorientale potrebbe rafforzare la pace con la Russia e le intese con la Cina. Isolare e controllare la Russia è un vecchio e mai realizzato obiettivo britannico, che oggi coinvolge solo alcune cancellerie europee. La Russia ha radici nel Turkestan, regione citata nelle saghe turche e persiane come parte integrante della loro cultura. È nel bassopiano turanico che la storia russa, turca e persiana si fonde nella sintesi “turcomanna”: lì è difficile sapere quanto di russo, turco o persiano alberghi nell’usbeco, nel cazaro, nel cazaco, nell’uiguri.
Gli inglesi di ieri sapevano solo che questa gente abita quella regione. Gli studi fatti dai ricercatori russi dimostrano che, col passare dei secoli, ci sono state migrazioni verso Occidente attraverso le distese eurasiatiche, che si sono formati stati turchi come la Turchia, l’Azerbaigian, il Tatarstan. Tagichi, russi, comunità persiane sono probabilmente residuo delle minoranze non turche della regione. Resta il fatto che da centinaia d’anni la Russia intrattenga rapporti con l’Asia centrale, dal Turkestan all’Afganistan passando per la Persia. Noi europei ricordiamo poco del rapporto tra greci e persiani, delle loro guerre. Perché tutto l’Occidente ha conosciuto relativamente in tempi recenti quelle plaghe, e solo attraverso la narrazione dei viaggiatori: intellettuali abbacinati dalla tradizione e mito di Zarathustra, lo zoroastrismo; religione basata sugli insegnamenti del profeta Zoroastro, tradizione che tra il VI a.C. ed il X secolo d.C. ha edificato la forma mentis delle regioni iraniche dell’Asia centrale. Il Zardusht ha influenzato la lingua pahlavi, il farsi, il persiano e l’approccio all’islam di tutta l’Asia centrale. I russi sono i migliori conoscitori di quel mondo che, dalle vette del Pamir guarda dritto alle porte dell’India e della Cina. Ecco perché viene naturale chiedersi cosa abbiano a che spartire gli inglesi con quelle aree geografiche. La risposta è una sola: il petrolio.
Ma non dimentichiamo che il Turkestan occidentale era parte integrante ieri dell’impero russo e poi dell’Unione sovietica, ed oggi è in rapporti con Mosca.
Le origini dell’instabilità dell’area mediorientale sono tutte da ricercare nelle scelte dei governatori britannici delle Indie, che intendevano normalizzare in mani inglesi tutto l’areale dal Turkmenistan al Pakistan, con in mezzo Persia e Afghanistan. Scalzare la Russia da quell’area, era nel 1838 il pallino fisso di Londra: diplomatici russi come l’orientalista Jan Prosper Witkiewicz (Vitkevič) erano considerati agenti di disturbo e d’intralcio al piano britannico, che prevedeva la sostituzione di sovrani ed emiri con persone gradite ai governatori delle Indie. Ma le occupazioni di quelle zone non hanno mai detto bene agli inglesi: infatti nel 1841 si sommarono presenza inglese, crisi economica afgana, insofferenza dei locali e la situazione precipitò con l’esplosione di violentissime rivolte; la più sanguinosa a Kabul, culminata con l’assalto alla casa dell’agente politico britannico.
Ovviamente le rivolte produssero in tutta l’area odio verso gli inglesi, carneficine di soldati della Corona britannica e tantissimi prigionieri a rischio decapitazione. E, ovviamente, grazie ai buoni uffici della diplomazia russa, i prigionieri inglesi ebbero salva la vita. Ecco che rapporti diplomatici russi rimangono imprescindibili nell’area. Ed una guerra tra persiani e inglesi è già stata scongiurata dai russi a metà ‘800, quando Londra conquistava l’Afghanistan (che era sotto l’egida persiana) dicendo che serviva per blindare i confini indiani dell’Impero britannico: la Russia evitava il conflitto e metteva d’accordo Teheran e Londra.
Ma gli inglesi non demordono mai: con il crollo del regime zarista nel 1917, tutta la Persia cadeva in mani britanniche, ed il trattato anglo-persiano del 1919 di fatto formalizzava il protettorato di Londra (un giochetto fatto solo ed esclusivamente per il petrolio). Ma nel 1921 i persiani si ribellavano e firmavano con l’Unione Sovietica un trattato di amicizia, e da questa posizione strappavano il trattato anglo-persiano del 1919.
Inutile elencare quanto sangue sia costato agli inglesi ogni tentativo di colonizzazione dell’area. Resta il fatto che Putin sia l’unico capace di aprire una trattativa con l’Iran, e che la Cina possa rivelarsi un ottimo garante.
Con molta probabilità Donald Trump tra meno di dieci giorni estrometterà Europa e Gran Bretagna da ogni trattativa di pace, mettendo ad un unico tavolo Valdimir Putin, Benjamin Netanyahu, Xi Jinping e Ali Khamenei. Trump è un pratico attore internazionale, sa bene che le misure eccezionali d’una Guerra Mondiale non sarebbero gradite in Usa, e riporterebbero l’Europa indietro di almeno trecento anni.
Aggiornato il 20 giugno 2025 alle ore 14:02