Le mineralocrazie in guerra per le terre rare

Che cosa c’è di nuovo nel vecchio ordine mondiale? La novità assoluta è rappresentata dall’esigenza di aggiornare il vocabolario geostrategico, aggiungendo un terzo termine a quelli altrettanto generali di tellurocrazie e talassocrazie, in cui fino a ieri si riconoscevano le grandi potenze di Europa, Stati Uniti, Cina e Russia. L’aggiornamento risiede nell’aggiunta del termine mineralocrazie, se si vuole molto più delocalizzato dei due precedenti, che invece indicano (grandi) potenze di mare, cielo e terra, ma non di ricchezze minerarie da estrarre e raffinare un po’ ovunque nel mondo. E oggi la supremazia planetaria si gioca proprio sullo sfruttamento, possesso e monopolio dei giacimenti di terre e minerali rari ovunque si trovino sulla superficie del pianeta. In gara tra di loro, come un secolo fa, disposte persino a ripristinare le vecchie logiche delle divisioni corazzate e delle cannoniere, per l’annessione forzata di territori e di isole, si ritrovano e si confrontano le grandi potenze (Europa compresa!) di ieri e di oggi, pronte ad accaparrarsi a ogni costo quelle preziose materie prime. E sono proprio le terre rare a essere vitali nella corsa alla supremazia economica e militare, in quanto essenziali per la costruzione di batterie solari, auto elettriche, semiconduttori iper-sofisticati e per lo sviluppo dell’Intelligenza artificiale.

E bisogna intendersi molto bene sulla grande rivoluzione che l’Ia generativa sta preparando in tutti i settori ad alto impiego di manodopera scarsamente qualificata, o che, viceversa, come nei media e nei servizi di pubblica utilità, opera professionalmente all’interno dell’informazione mediatica e della burocrazia pubblica o privata. Le future ChatGpt, infatti, saranno in grado di comporre testi altamente qualificati e sofisticati per il confezionamento a domanda di prodotti pubblicistici (articoli di giornali e saggistica), come di provvedimenti amministrativi ad alta standardizzazione, compresa tutta la modulistica digitale, i draft normativi e regolatori, la regolazione delle code e delle liste d’attesa, la refertistica online in ogni ambito delle attività sanitarie e amministrative, e così via. Chi controllerà l’Algoworld (il mondo degli algoritmi), in pratica avrà il dominio sul pianeta. Ora, anche qui, come sta a dimostrare il dominio assoluto e planetario delle App e dei motori di ricerca creati dalle major digitali della Silicon Valley (che vantano profitti annuali per centinaia di miliardi di dollari, pari al Pil di Paesi sviluppati di media taglia), occorre evitare la trappola del fornitore unico. Questa fattispecie perversa la si è vista all’opera in occasione del taglio giugulare delle forniture di gas russo, a seguito dell’avvio della campagna per la conquista dell’Ucraina da parte di Mosca, quando un intero continente come l’Europa si è trovato per molti mesi privo dell’indispensabile copertura energetica per il funzionamento delle sue città e delle sue industrie.       

Ora, si provi solo a immaginare che cosa accadrebbe se il 90 per cento del fabbisogno di beni essenziali fosse nelle mani di un solo monopolista: qualcosa del genere lo si è visto all’opera all’epoca del Covid-19 con i principi attivi degli antibiotici e con le Cpap e Bipap (dispositivi di ventilazione non invasiva per i pazienti con gravi deficit respiratori), fabbricati quasi esclusivamente in Cina. Da allora, in molti si sono detti «mai più!» a giusto titolo. Ora, però a quanto sembra, malgrado i pericolosi precedenti, stiamo per ricadere nella stessa trappola pechinese, per quanto riguarda il monopolio delle terre rare detenuto oggi al 90 per cento proprio dalla Cina. Se si lasciasse fare alle forze di mercato, Pechino non avrebbe concorrenti che tengano, in grado di sfidarne il monopolio, per cui i Paesi europei più esposti alla concorrenza cinese, come quelli dell’Ue, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, sono obbligati ad adottare in merito politiche protezionistiche, se davvero intendono salvaguardare un minimo di autonomia sulle politiche green e sui semiconduttori avanzati. Del resto, occorre ammettere in tutta sincerità che, se l’Occidente non avrà un sufficiente controllo delle materie prime strategiche, non ci saranno soluzioni tecniche ammissibili per i nostri problemi di sviluppo planetario, compresa la transizione green (anche se, per fortuna, sembra rinviata la messa al bando dei motori endotermici), Internet, le ricerche in campo di nanotecnologie medicali e gli armamenti avanzati.

Avremmo dovuto prestare ben altra attenzione alle parole dette allora dal padre della rivoluzione economica cinese, Deng Xiaoping, quando asserì: “Il Medio Oriente ha il petrolio, ma la Cina possiede i metalli rari”. La cosa, per la verità, va un attimo precisata, nel senso che quel tipo di risorse minerarie sono ampiamente disponibili in po’ in tutte le terre emerse e sommerse: il problema reale, semmai, è quello del loro sfruttamento. Tanto è vero che per la raffinazione del litio esiste un solo grande stabilimento negli Usa, che si trova in Texas ed è di proprietà (guarda caso) di Elon Musk, anche in questo assai lungimirante. Del resto, occorre sapere che, per estrarre modiche quantità dei 17 metalli rari ai quali siamo interessati, occorre rimuovere e poi raffinare tonnellate di materiale grezzo. Senza adeguati controlli (com’è successo per le miniere d’oro e di uranio in Africa e in America Latina) queste operazioni sono altamente inquinanti e mettono a rischio gli ecosistemi locali. Una volta separato, il prezioso materiale metallico va poi lavorato, per essere impiegato successivamente nella costruzione di magneti ad alta efficienza, di dispositivi e tecnologie laser, come i film di microchip per impedire la falsificazione di valute. Tutte queste tecnologie hanno un costo elevato e la Cina è in grado di offrire il prodotto finito a un prezzo inferiore al 30 per cento, rispetto a tutti gli altri produttori mondiali. Ecco perché, se lasciamo fare al mercato che non ha nessun interesse per la geopolitica, c’è poco da stare allegri.

Diciamo in tutta franchezza che l’Occidente se l’è un po’ (tanto) voluta, dato che tra le prime delocalizzazioni operate dagli Usa verso la Cina spicca al primo posto lo sfruttamento minerario (altamente inquinante) delle terre rare. L’Ue è da tempo corsa ai ripari, e una delle sue grandi speranze è riposta nel futuro sfruttamento degli immensi giacimenti ucraini di terre rare, su cui però, da un lato, Donald Trump ha messo le mani con un contratto-capestro accettato da Volodymyr Zelensky. Mentre, dall’altro, Mosca si è assicurata il controllo di almeno il 20 per cento dei giacimenti, con l’occupazione degli Oblast ucraini annessi alla Russia. E non è un caso che “anche” per questa ragione Vladimir Putin abbia deciso di scatenare la sua guerra di occupazione, in considerazione del fatto che nei prossimi tre decenni il mondo consumerà più materie prime in metalli e minerali rari di quanto ha fatto negli ultimi 70mila anni. A questo punto, anche un bambino capirà perché le mineralocrazie conteranno più di ogni altra potenza al mondo. “Vae victis!”, dice un famoso motto latino.

Aggiornato il 10 giugno 2025 alle ore 09:55