Biden, Trump e la “guerra commerciale”

La memoria, dei cosiddetti “cani da guardia del potere”, è sempre corta quando al Governo degli Stati Uniti non c’è in carica un presidente “democratico”. Lo stesso vale per il Deep State in Europa. Sono europeisti e quindi “sinceramente democratici” quando a prevalere, alle elezioni, sono i candidati proposti dai partiti di centrosinistra o di sinistra che sono acriticamente sostenitori della nomenklatura che governa le istituzioni europee. Sono invece populisti, con pulsioni illiberali, se alle elezioni i cittadini scelgono candidati di centrodestra o di destra. In questo secondo caso la democrazia non vale “anche Benito Mussolini e Adolf Hitler vinsero le elezioni”. È di tutta evidenza che se vincono le elezioni politiche candidati non graditi all’establishment di Bruxelles ci sono state certamente interferenze russe alle elezioni, è assolutamente normale invece sostenere i candidati sostenuti dalla governance europea. Dobbiamo abolire il suffragio universale perché gli elettori non votano secondo le aspettative del fronte “illuminato”? Occorre sperare che la magistratura intervenga per invalidare le elezioni dei “populisti” o di “destra estrema”? Il presidente degli stati Uniti Donald Trump, rieletto per un secondo mandato, è da sempre inviso alla stampa progressista.

È, pertanto, un rischio per la democrazia americana, un immobiliarista rozzo, ignorante, prepotente e ovviamente usa il potere per interessi personali e quello dei propri sodali multimiliardari che lo hanno finanziato. Il paradosso è che sono gli stessi magnati che avevano finanziato il candidato democratico alle precedenti elezioni presidenziali. Le “penne rosse”, in palese incoerenza, ovviamente dimenticano di scrivere che Kamala Harris, la candidata alla presidenza, che ha sostituito last minute Joe Biden nella campagna elettorale, aveva raccolto finanziamenti superiori a quelli del repubblicano Trump. Le evidenze storiche insegnano che gli Usa, con qualsiasi presidente, sia esso repubblicano o democratico hanno sempre operato a tutela degli interessi americani sia in politica estera che negli scambi commerciali con il resto del mondo. Business is business (gli affari sono affari!). La politica commerciale dei dazi doganali è una costante storica della più grande democrazia nordamericana. I media e le stesse cancellerie europee si sono dimenticate in fretta che “l’amato” presidente democratico Joe Biden con l’Inflation Reduction Act aveva stanziato un totale di 370 miliardi di dollari per incentivare investimenti green negli Stati Uniti.

I fondi messi a disposizione perseguivano l’obiettivo implicito di promuovere, attraverso gli incentivi, gli investimenti negli Stati Uniti sia delle multinazionali americane che delle imprese europee per la costruzione di auto elettriche, batterie e non solo. La politica di elargizione di provvidenze pubbliche di Biden aveva allarmato l’Unione europea che temeva il fatto che molte aziende, grazie alle sovvenzioni del Inflation Reduction Act, avrebbero trovato conveniente produrre direttamente negli Stati Uniti in danno dell’Europa. La differenza sostanziale, in termini di politica commerciale, tra Biden e Trump è da ricondurre al fatto che entrambi avevano il medesimo obiettivo: la tutela degli interessi nordamericani. Il raffinato Joe Biden, con la strategia degli incentivi economici, intendeva riportare negli Usa le multinazionali americane che avevano delocalizzato le produzioni all’estero e creare le condizioni ideali per le imprese europee di produrre direttamente negli stati Uniti. Il rozzo antidemocratico Donald Trump ha varato la politica aggressiva dei dazi doganali sulle importazioni, intimando, in alternativa, la produzione direttamente negli Usa per evitarli. Praticamente “la continuazione della guerra commerciale” del presidente democratico perseguita con altri mezzi.

Aggiornato il 05 giugno 2025 alle ore 10:24