Continua la “guerra” fra Trump e i giudici

Il bando dei dazi è durato poche ore. La scossa provocata dalla Court of International Trade degli Stati Uniti all’agenda economica di Donald Trump è stata messa in stand-by. La corte dappello ha infatti accolto il ricorso dell’amministrazione, sospendendo in via provvisoria la sentenza che aveva invalidato parte del regime tariffario costruito nei primi giorni del mandato repubblicano. In meno di 24 ore, la vicenda ha imboccato i binari di una battaglia giudiziaria che promette di trascinarsi a lungo, con ogni probabilità fino ai gradini della Corte suprema. “La sentenza della Us Court of International Trade è temporaneamente sospesa fino a nuovo avviso mentre questa corte esamina i documenti delle istanze”, ha stabilito la Corte d’appello. La decisione è arrivata dopo il colpo a sorpresa inferto dal poco noto tribunale commerciale di New York, che aveva messo in discussione le misure tariffarie adottate contro Paesi come Canada, Messico e Cina, giustificate dall’amministrazione in nome della sicurezza nazionale e del contrasto all’immigrazione illegale e al traffico di fentanyl.

La Casa Bianca non ha nascosto l’irritazione per la sentenza, bollata come “chiaramente sbagliata” e politica, e ha puntato il dito contro i “giudici attivisti” della Corte: “Non spetta ai non eletti decidere come affrontare adeguatamente un’emergenza nazionale”, ha denunciato lo Studio Ovale. Nel tentativo di contenere l’impatto politico della vicenda, due tra i più stretti consiglieri economici di Trump, Kevin Hasset e Peter Navarro, hanno minimizzato le conseguenze della sentenza. “Non cambia nulla”, ha assicurato Navarro. “Non avrà alcun effetto sulle trattative commerciali in corso”, ha aggiunto Hasset, sottolineando che l’amministrazione conserva “molte opzioni a sua disposizione”. Una di queste prevede il ricorso alla cosiddetta Section 232, che consente al presidente di introdurre dazi per motivi di sicurezza nazionale, aggirando di fatto l’autorizzazione del Congresso. Più complessa e improbabile, invece, la strada di un intervento legislativo: convincere il Congresso a introdurre nuove tariffe resterebbe, per la Casa Bianca, un’impresa tutta in salita.

In attesa di sviluppi legali – e soprattutto di comprendere i tempi della giustizia federale – i principali partner commerciali degli Stati Uniti osservano con cautela la situazione. Trump, affermano diversi analisti, esce momentaneamente indebolito proprio su uno dei cardini della sua strategia economica, anche se il pronunciamento della Corte d’appello ha evitato un’immediata escalation. Nel dibattito si inserisce anche la voce del premio Nobel per leconomia Michael Spence, che minimizza la paura globale che deriva dalle politiche protezionistiche americane. “Non prevedo un’esplosione di protezionismo globale innescato dagli Usa. Potrebbero esserci dazi di ritorsione nelle trattative, ma il 75 per cento dell’economia mondiale continuerà a commerciare e investire normalmente. Gli effetti più pesanti si sentiranno negli Stati Uniti, ma ci sono anche conseguenze a lungo termine che meritano attenzione”, ha dichiarato il professore della Bocconi in un’intervista a La Stampa.

Sul piano valutario, Spence osserva che “il dollaro resiste perché non c’è ancora un’alternativa credibile. Tuttavia, il suo prestigio è stato intaccato dalle restrizioni imposte, soprattutto dopo la guerra in Ucraina, e dall’imprevedibilità dell’amministrazione Trump”. Una dinamica che potrebbe condurre, nel medio periodo, verso “un mondo senza una valuta di riserva dominante”. In questo scenario, “l’unica alternativa plausibile al momento è l’euro, a condizione che l’Europa centralizzi i mercati del debito sovrano, come ha sottolineato la presidente della Bce, Christine Lagarde”.

Proprio Lagarde è sotto i riflettori in queste ore, con i mercati in attesa di una possibile svolta nella politica monetaria dell’Eurotower. La riunione del 5 giugno potrebbe infatti sancire un primo taglio dei tassi, favorito dai dati sull’inflazione di maggio in Italia e Spagna, entrambi sotto la soglia del 2 per cento. Le Borse europee hanno reagito con moderato ottimismo, mentre l’attenzione si sposta ora sull’inflazione tedesca e sull’indice Pce degli Stati Uniti, due indicatori chiave per delineare l’evoluzione del ciclo dei tassi. Nel frattempo, i rendimenti dei titoli di Stato si muovono al rialzo: il Btp decennale guadagna due punti base, portandosi al 3,51 per cento. Lo spread con il Bund tedesco resta stabile a quota 98 punti.

Aggiornato il 30 maggio 2025 alle ore 13:52