
C’è un limite che non può essere superato e un odio che non può più essere ignorato. Quando le università, anziché essere luoghi di confronto e conoscenza, diventano focolai di antisemitismo e intolleranza, è il momento di agire. E qualcuno lo ha fatto.
L’amministrazione Trump ha deciso di tagliare 400 milioni di dollari di finanziamenti federali alla Columbia University per aver permesso un clima ostile e pericoloso nei confronti degli studenti ebrei. Ma la Columbia non sarà l’unico ateneo destinatario del provvedimento. Altri 60 college e università sono attualmente sotto esame per antisemitismo e potrebbero anch’esse vedere revocati i finanziamenti federali.
Per mesi, gli atenei americani sono stati teatro di manifestazioni propalestinesi che hanno travalicato i confini della legittima protesta per trasformarsi in vere e proprie campagne di intimidazione. Alla Columbia, tra le più prestigiose università degli Stati Uniti, gli studenti ebrei hanno dovuto affrontare minacce, insulti e aggressioni solo per aver difeso Israele o, in alcuni casi, semplicemente per la loro identità.
Ma questa non è una storia che riguarda solo un singolo ateneo o un solo paese. Dall’America all’Europa, le università si stanno trasformando in roccaforti di un estremismo che non si limita a contestare la politica di Israele, ma che alimenta apertamente l’odio contro gli ebrei.
Alla Columbia University, le manifestazioni filopalestinesi non si sono limitate a esprimere solidarietà alla popolazione di Gaza, ma sono diventate veri e propri atti di intimidazione. In uno degli episodi più gravi, uno studente ebreo è stato aggredito per aver esposto una bandiera israeliana. Gli è stata strappata di mano e calpestata, mentre intorno a lui si levavano cori che inneggiavano alla distruzione di Israele. Episodi simili si sono verificati in diversi campus americani, dove studenti ebrei hanno denunciato di essere stati insultati, esclusi da eventi accademici e minacciati per le loro posizioni.
La stessa ondata di antisemitismo ha attraversato anche l’Europa. In Francia, all’Università Sciences Po di Parigi, una studentessa ebrea è stata bloccata fisicamente all’ingresso da manifestanti che le hanno urlato contro: “Non lasciatela entrare, è una sionista”. Un atto di discriminazione che ha scatenato polemiche e acceso il dibattito sulla sicurezza degli studenti ebrei negli atenei francesi.
In Belgio, all’Université libre de Bruxelles, uno studente ebreo è stato aggredito da manifestanti pro-Palestina che avevano occupato un edificio universitario, tanto che l’amministrazione universitaria ha dovuto denunciare l’accaduto alle autorità.
Ma questi sono solo alcuni esempi di un fenomeno molto più vasto. Non parliamo di episodi isolati, ma di migliaia di casi in tutta Europa e oltre, in cui studenti ebrei vengono insultati, minacciati o persino aggrediti fisicamente. Da Londra a Berlino, da Amsterdam a Roma, le università stanno diventando zone di caccia per chiunque osi difendere Israele o semplicemente essere ebreo. Studenti costretti a nascondere simboli ebraici, a non dichiarare la propria identità per paura di ritorsioni, mentre le amministrazioni universitarie, per paura o complicità, restano a guardare senza prendere provvedimenti.
Anche in Italia, la situazione non è migliore. A Milano, Roma e Torino, gli studenti ebrei sono stati insultati e minacciati durante cortei e occupazioni universitarie. Bandiere di Hamas e Hezbollah sono state esposte nei campus con orgoglio e senza alcuna condanna da parte delle istituzioni accademiche. Chi si oppone a questa deriva viene zittito, ridicolizzato o persino aggredito, in un clima che ricorda i periodi più bui della storia europea.
La complicità delle università è sconcertante. Troppo spesso i rettori e i docenti preferiscono restare in silenzio, incapaci di opporsi a una minoranza violenta che impone il proprio odio nelle aule. Non c’è spazio per il dialogo, non c’è volontà di confronto: chi è ebreo o difende Israele deve tacere o subire.
C’è un punto che non può più essere messo in discussione: Israele ha il diritto di esistere e di difendersi. Questo non è solo un diritto politico, ma una questione di giustizia storica e di sicurezza per il popolo ebraico, che per secoli ha subito persecuzioni ed è stato minacciato di annientamento.
Gli attacchi contro gli ebrei nei campus universitari non sono semplici episodi di intolleranza, ma fanno parte di un movimento globale che cerca di delegittimare Israele e di giustificare il terrorismo. Chi manifesta sotto le bandiere della Palestina senza condannare esplicitamente Hamas e le sue atrocità, consapevolmente o meno, sta sostenendo un movimento terrorista, la distruzione di Israele e l’annientamento del popolo ebraico.
Le università devono smettere di essere complici di questo odio. Devono garantire che gli studenti ebrei possano esprimersi senza paura, e che l’attivismo politico non diventi un pretesto per la diffusione dell’antisemitismo.
L’antisemitismo nei campus universitari, in Italia e nel mondo, è una piaga che va estirpata con fermezza. Le istituzioni accademiche devono scegliere da che parte stare: con la civiltà o con il terrorismo. Con la libertà o con l’odio.
In questo contesto, la decisione dell’amministrazione Trump rappresenta una posizione forte, che segna un precedente importante. Le università devono rispondere alla loro responsabilità di proteggere tutti gli studenti, senza eccezioni, da qualsiasi forma di discriminazione. Quello che Trump ha fatto è un messaggio chiaro: non c’è spazio per l’antisemitismo.
Aggiornato il 12 marzo 2025 alle ore 09:42