
In un’epoca di crisi globali e conflitti regionali, l’antico adagio unus homo, nullus homo risuona con rinnovata forza. Guardando allo scenario internazionale, e in particolare al prolungato conflitto russo-ucraino, emerge con evidenza una verità sempre più incontestabile: nell’età della tecnica planetaria, nessuno Stato può davvero “salvarsi da solo”.
Le recenti dichiarazioni dei leader mondiali sulla crisi ucraina rivelano un paradosso fondamentale della nostra epoca. Da un lato, assistiamo a una retorica che esalta la sovranità nazionale, l’autodeterminazione dei popoli e l’indipendenza decisionale degli Stati. Dall’altro, vediamo questi stessi Stati progressivamente assoggettati a logiche che li trascendono e che hanno nella tecnica il loro centro propulsore.
Quando il presidente Putin giustifica l’intervento in Ucraina come difesa della sicurezza nazionale russa, o quando l’Occidente risponde con sanzioni economiche sempre più sofisticate, entrambi stanno in realtà confermando la propria subordinazione a un apparato tecnico che determina le possibilità stesse del loro agire. La guerra moderna, con i suoi sistemi d’arma ad alta tecnologia, cybersecurity e warfare informativo, non è più semplicemente uno strumento della politica, ma è diventata una manifestazione dell’autonomia della tecnica rispetto alle volontà nazionali.
Ciò che oggi determina la forza di uno Stato non è più principalmente la sua estensione territoriale o la numerosità della sua popolazione, ma la sua capacità di integrarsi nel sistema tecnico globale. L’Ucraina, Paese relativamente piccolo, ha potuto resistere all’invasione di una potenza nucleare grazie all’accesso a tecnologie avanzate, sistemi di comunicazione satellitare, intelligence condivisa e armamenti di ultima generazione forniti da alleati occidentali.
Questo scenario evidenzia come il vero potere non risieda più esclusivamente negli Stati nazionali, ma nell’apparato tecnico-scientifico che li attraversa e li supera. La tecnica non è più uno strumento al servizio della politica, ma è diventata la condizione stessa di possibilità del potere politico.
Gli Stati nazionali si trovano così in una contraddizione insanabile: per affermare la propria sovranità e potenza, devono affidarsi sempre più a un sistema tecnico che, per sua natura, oltrepassa i confini nazionali e si sottrae al controllo politico tradizionale. Più uno Stato vuole essere forte, più deve cedere porzioni della propria autonomia decisionale all’apparato tecnico-scientifico globale.
Osservando il conflitto russo-ucraino, questa contraddizione appare in tutta la sua evidenza. La Russia, nel tentativo di affermare la propria sfera d’influenza geopolitica, ha dovuto confrontarsi con le conseguenze impreviste della sua dipendenza dai sistemi tecnologici globali: dalle sanzioni che colpiscono i microchip e i componenti elettronici avanzati, fino all’esclusione dai sistemi di pagamento internazionali. L’Ucraina, dal canto suo, per difendere la propria indipendenza ha dovuto accettare una dipendenza quasi totale dalle tecnologie e dal supporto logistico occidentale.
La tendenza in atto suggerisce che stiamo assistendo alla graduale formazione di un ordine sovranazionale in cui il potere decisionale effettivo si sposta dagli Stati nazionali a entità che rispecchiano la logica dell’apparato tecnico globale: organizzazioni internazionali, consorzi tecnologici, alleanze militari integrate, giganti del digitale con capacità paragonabili a quelle degli Stati.
Nel contesto ucraino, è emblematico come aziende private come SpaceX, con il suo sistema Starlink, abbiano potuto influenzare in modo determinante l’andamento del conflitto, garantendo comunicazioni resilienti all’esercito ucraino anche dopo la distruzione delle infrastrutture tradizionali. Questo è solo un esempio di come il potere effettivo stia migrando verso soggetti che incarnano la razionalità tecnica globale.
Ciò che rende questo processo apparentemente inarrestabile è che la tecnica non si presenta più come un semplice strumento per raggiungere fini umani, ma si propone essa stessa come fine ultimo, trasformando l’umanità in funzione delle sue esigenze e non viceversa. Gli Stati che rifiutano di adeguarsi a questa logica si condannano all’irrilevanza o all’isolamento.
“Nessuno si salva da solo” non è affatto un principio etico di solidarietà, ma una constatazione sulla natura del mondo contemporaneo. Gli Stati nazionali, per quanto possano apparire ancora come gli attori principali sulla scena internazionale, sono in realtà sempre più ingranaggi di un sistema tecnico globale che li trascende.
Aggiornato il 04 marzo 2025 alle ore 10:55