Dare una interpretazione univoca al concetto di “sovranismo” potrebbe essere inesatto. Infatti, contesti sociali diversi danno applicazione all’idea di sovranismo in modo totalmente differente. L’imperfetta decolonizzazione che da svariati decenni sta interessando molte regioni africane, ha mostrato il raggiungimento di un punto senza ritorno in quelle nazioni dove i colpi di Stato sono diventati prassi nell’avvicendamento governativo. Golpe militari che hanno cambiato il percorso della “politica” in Mali, Guinea, Burkina Faso e Niger; ma anche altri conflitti, variabilmente drammatici, in altre zone africane ex colonie di Stati europei, Francia e Gran Bretagna per primi, sono i sintomi delle profonde trasformazioni e della volontà di inversione socio-politica rimasta a lungo oppressa e nascosta, e la cui accelerazione improvvisa può destare sorpresa a una osservazione superficiale. Scossoni che potremmo definire di valore geopolitico, in quanto la perdita di influenza della Francia, viene favorita da un aumento del potere della Russia, e anche della Cina. Quindi una lunga agonia del modello transalpino di decolonizzazione incompleta, a favore di realtà geopolitiche dal peso enorme che subentrano al potere francese al fine di poter utilizzare le risorse africane per le proprie strategie belliche. Tuttavia queste lotte che portano cambiamenti di governo, generalmente sono eseguite da forze prevalentemente endogene, ma spesso supportate o guidate da “sistemi esogeni”, che siglano l’inevitabile fine di un ciclo iniziato a metà del secolo scorso. Senza dubbio la decolonizzazione incompleta ancora aleggia in Costa d’Avorio, Gabon, Senegal, Gibuti e Ciad (dove l’11 gennaio si sono celebrate le elezioni presidenziali tra boicottaggi e risultati prefabbricati), dove la Francia ha ancora basi militari e dove vige ancora il franco Cfa, non abolito, ma soprattutto dove l’Afd, Agenzia francese per lo sviluppo, è lontana dall’avere terminato i suoi investimenti e la sua trasformazione.
Quindi siamo in presenza di una corrente golpista su base sovranista che si sta istituzionalizzando nell’Africa occidentale, e che considera, a ragione, la democrazia liberale come un prodotto di importazione, di conseguenza lontano dalle tradizioni socio-antropologiche dell’area, consuetudini assonanti con i dogmi della maggior parte della popolazione. Uno degli aspetti più significativi di questo ritorno a concezioni di governo basati su “culture tribali evolute”, lo si riscontra nelle principali correnti di pensiero che si sono affrontate in Africa dopo il fallimento delle così immaginate “transizioni democratiche” avviate all’inizio degli anni Novanta, e i movimenti popolari susseguenti. In pratica, questa utopia della transizione democratica africana ha portato al fallimento di un progetto che metteva al centro il concetto di democrazia sostanziale; ovvero la possibilità di celebrare elezioni. Una sorta di “doping sociale” che illudeva la massa su un futuro che avrebbe potuto disegnare dentro l’urna elettorale. Un futuro che, sempre nella cornice utopica, avrebbe visto migliorare le condizioni di vita delle popolazioni, anche grazie a un accesso migliore alla sanità, avrebbe dato libertà alle donne, agito sulla sensibilità ambientale, e sulla giustizia. Un orizzonte di speranze ed una promessa che si sono polverizzati di fronte alla realtà. Tuttavia oggi le nuove generazioni africane, frutto di un naturale cambiamento demografico, hanno la possibilità di agire con maggiori spazi di azione, soprattutto grazie ai sistemi di comunicazione di massa, cercando di esercitare tutto il loro peso sull’evoluzione del continente. La Foundation for Innovation for Democracy, con sede a Johannesburg, in Sudafrica, è uno di questi sistemi che con succursali in tutto il continente sostiene, anche finanziariamente, decine di iniziative in Africa. Ma anche in questo caso non tutto il panorama africano post gerontocrazia ha la medesima visione della politica. Così con il tramonto dei vecchi detentori del potere (presidenti a vita o successione presidenziali per eredità), affiorano altri che vedono nella svolta definitivamente sovranista il futuro. Un percorso parallelo o un passaggio di testimone, tra la volontà di una decolonizzazione radicale e un’autentica sovranità. Su questo incontro si basa la visione di un panafricanismo incantatore, come risposta alle battaglie di un mondo dove gli interessi delle potenze internazionali condizionano le dinamiche planetarie.
Ma in realtà i nuovi golpisti si preoccupano principalmente della pura logica del potere e di sopprimere le divisioni interne al fine di monopolizzare le risorse nazionali, molto richieste dalle potenze internazionali, senza crearsi particolari scrupoli sulla sofferenza della popolazione. Quindi la visione che sia il bilanciamento del potere a creare il “diritto”, porta questi ideologi sovranisti a sostenere colpi di Stato retti generalmente da regimi militari, con l’intenzione che queste azioni si configurino come baluardi contro la predazione neocoloniale e imperialista, ed in sub ordine fare fronte al dilagante jihadismo che sta martoriando una parte del continente. Inoltre sulla linea ideologica costruita intorno al golpe-sovranista, ostentano la volontà di operare, oltre che per una completa decolonizzazione, per un libero godimento della propria sovranità, e che la democrazia liberale di stampo colonialista e neocolonialista, non è altro che il cavallo di Troia introdotto in Africa contro la popolazione africana. Ma alla luce di quanto sta accadendo nel continente africano – guerre croniche, violenze, estremismo islamico in espansione, carestie e drammi sociali – l’alternativa al sovranismo africano strutturato sui colpi di Stato quale può essere? Allo stato dei fatti la risposta più concreta è la tentacolare anarchia localizzata, cioè un sistema di piccole anarchie che poi si riorganizzano in contesti limitati, oppure sistemi sociali guidati dai movimenti estremisti o jihadisti. A questi ritengo preferibile il collaudato e tradizionale Golpe che comunque è un sistema di avvicendamento politico che ha caratterizzato il continente africano dagli anni Cinquanta a oggi, istituendo oltre duecento regimi, la maggior parte duraturi. Anche se una parte di questi Colpi di Stato sono falliti. Quindi l’ideologia sovranista è legata al “relativismo culturale”, e l’Africa è l’esempio più evidente.
Aggiornato il 15 gennaio 2025 alle ore 09:52