L’escalation delle condanne a morte che si stanno celebrando in Iran, rappresenta l’evidente obiettivo del governo decadente degli Ayatollah di fare della paura l’unico sistema di contenimento delle sempre più penetranti fibrillazioni popolari e dei fallimenti internazionali. Molte organizzazioni umanitarie, soprattutto in questi ultimi due decenni, si stanno occupando delle centinaia di esecuzioni che mensilmente affollano i patiboli delle prigioni iraniane. Ma analizzando quali tipologie di reati conducono alle esecuzioni capitali, si scorgono molti aspetti della vita sociale che la comunicazione di regime tende a tralasciare. Intanto, le organizzazioni per i diritti umani che si occupano di tali “patologie sociali”, oltre l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani, sono l’Hengaw, una Ong fondata nel 2016 dai Curdi abitanti nel Kurdistan iraniano, con sede in Norvegia, che si è occupata anche delle questioni legate alle proteste seguite all’assassinio della Curda Mahsa Amini nel 2022; l’Ong Hrana, Human rights activists news agency, che rappresenta esuli iraniani abitanti in Virginia, Stati Uniti; e l’Iran human rights, una organizzazione estremamente attenta anche ai processi farsa ed alle “esecuzioni di genere”.
Ai dati elaborati da queste organizzazioni, che attingono a informazioni circolanti pure all’interno delle strette maglie dei tribunali iraniani, fanno riferimento anche le associazioni umanitarie operanti sotto la bandiera delle Nazioni unite. In base a queste statistiche, secondo quanto pubblicato dall’Alto commissariato dell’Onu il sette gennaio, in Iran solo nel 2024 sarebbero state condannate a morte quasi 900 persone. Inoltre, risulta che circa 40 esecuzioni capitali siano state compiute il mese di dicembre. Secondo queste dichiarazioni la stragrande maggioranza di queste uccisioni, frutto di processi farsa, eseguite nel 2024, sono avvenute per reati legati allo spaccio e al consumo di stupefacenti, ma sono stati soppressi anche dissidenti e persone arrestate durante le proteste del 2022-2023, oltre molte donne accusate di “uxoricidio” (vocabolo utilizzato come “coniuge” in quanto nella casella lessicale manca il corrispettivo inverso).
Un tema, quello dell’uccisione del marito da parte della coniuge, estremamente significativo di un profondo disagio sociale di coppia. Così lo stesso rapporto delle Nazioni unite, che attinge alle statistiche della Ong Iran human rights, riporta che il numero di donne assassinate dalla legge iraniana è in aumento. L’associazione umanitaria, che opera in queste indagini dal 2008, ha rivelato che il governo degli Ayatollah ha mandato al patibolo nel 2024 più di 30 donne. Un dato che è considerato un “primato” da quando l’Ong ha iniziato a occuparsene documentando l’applicazione della pena di morte in Iran. I processi farsa dei pseudo tribunali iraniani, hanno addebitato alla maggior parte di queste donne la pena capitale perché ree di avere ucciso il marito. La realtà è che queste vittime sono state sottoposte per anni a croniche violenze domestiche o continui abusi sessuali, coperte dalla “legittimità della legge islamica” applicata in Iran, e la sofferenza e l’angoscia assoluta, non sostenute da sistemi sociali, hanno condotto a una, non incompresa, reazione che ha portato alla eliminazione del “problema”, consce che avrebbero pagato con la vita questo loro gesto.
Anche secondo Amnesty International l’Iran è il Paese con il maggior numero di condanne a morte. Ritengo che probabilmente la Cina detiene questo macabro record, ma i dati cinesi sono imperscrutabili. Nell’Iran degli Ayatollah e degli ‘ulama, o ulema (dottori della legge), oltre a vigere norme che attingono a fonti coraniche, shari’a, si applicano anche altre consuetudini di tradizione pre-islamica. Nel caso di condanna a morte per avere ucciso il marito, in Iran si applica la legge della vendetta, o “rivalsa in natura”, nota come qisas, che statuisce che un omicidio deve essere “ripagato” con un’altra vita, salvo il perdono da parte dei familiari dell’ucciso o un risarcimento generalmente economico. La realtà è che la Repubblica islamica, dalla sua nascita nel 1979, si è appoggiata sulla pena di morte come primo strumento per incutere paura mantenendo in questo modo stretto un potere basato sulla paura. I dati che trapelano su queste condanne a morte sono abbastanza attendibili circa gli uomini, meno per quanto riguarda le donne. Comunque per le decine di migliaia di prigionieri che hanno subito queste punizioni disumane, la cosa certa è che i processi sono stati solo delle messe in scena per dare un ruolo a giudici e avvocati iraniani. Senza il loro intervento non sarebbe cambiato il destino già scritto delle condannate e dei condannati.
Un ultimo rapporto dell’Ong dell’Hrana, concluso nel 2024, rivela che la pena di morte in Iran si accanisce facilmente verso le donne. Prevalentemente queste sono state condannate a morte oltre che per l’omicidio del marito, anche per reati di droga. Il quadro generale è che possiamo evidenziare la profonda presenza di “leggi” discriminatorie circa il genere femminile, ma questo ovviamente non stupisce sapendo la fonte di tali normative. A queste vanno aggiunti i fattori sociali che perpetuano queste sofferenze e che fanno trovare l’epilogo nel braccio della morte. Ma voglio solo ricordare quanto accaduto tra il 1981-1988, nei primi drammatici anni della Repubblica islamica, quando un importante numero di prigioniere politiche sono state condannate a morte, molte tramite la lapidazione.
Una pratica mai confermata dai vari sistemi di esecuzione dichiarati dalle leggi iraniane, ma esistente e operativa nel sistema giudiziario della Repubblica islamica. La lapidazione, che caratterizzava soprattutto l’adulterio femminile, ufficialmente pare non sia praticata dalla fine degli anni 2000. In pratica la donna veniva seppellita fino al petto impedendo ogni movimento, mentre gli uomini, anche essi condannati per adulterio, erano sepolti fino alla cintola, spesso chiedevano in loro difesa le indicazioni coraniche sulla poligamia o l’usanza dei matrimoni temporanei. Anche tali brutali pratiche evidenziano le disparità di genere storiche e attuali nel sistema legale iraniano. Anche l’impiccagione veniva praticata sulle dichiarate adultere.
Negli anni Ottanta si sono verificate numerose esecuzioni di massa di oppositori politici e non. In particolare, le donne hanno subito sofferenze strazianti, molto spesso sottoposte a stupro prima dell’esecuzione. Le violenze carnali si sono verificate nuovamente durante la circostanza della uccisione di Masha Amini e proteste collegate. Quindi, una modalità oppressiva protrattasi in avanti, fino alla cronaca. Ambiti da valutare prima di approcciarvi, soprattutto se stranieri, dato che la “notizia” se dissonante con la propaganda diventa minaccia, quindi per la legge iraniana reato.
Aggiornato il 09 gennaio 2025 alle ore 11:37