Smembrare l’Ucraina farebbe solo crescere le ambizioni imperiali di Putin

La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane ha riaperto il dibattito sulla possibilità di un accordo di compromesso con il Cremlino per porre fine alla guerra in Ucraina. Molti commentatori sono convinti che una qualche forma di concessioni territoriali ucraine sia ormai inevitabile. Altri insistono sul fatto che scambiare terre per la pace rappresenti per Kyiv l’unica opzione per uscire da un conflitto devastante che minaccia di distruggere la nazione ucraina. Queste argomentazioni non sono certo prive di merito, ma chiunque ora chieda una soluzione negoziata che conceda alla Russia il controllo su gran parte dell’Ucraina deve anche considerare le conseguenze di un simile passo. Se le autorità ucraine saranno costrette a cedere territori in cambio della pace, l’intera invasione di Vladimir Putin sarà legittimata e il suo appetito imperiale non farà che crescere. L’Occidente può riuscire a garantire una tregua temporanea a spese dell’Ucraina, ma la minaccia di una Russia espansionista rimarrà e il costo finale per fermare Putin non farà che crescere.

L’idea che Putin possa essere soddisfatto semplicemente congelando la guerra lungo le attuali linee del fronte nell’Ucraina meridionale e orientale è frutto di un clamoroso fraintendimento di quali siano i motivi imperialistici che muovono la Russia. Putin governa già su quella che è di gran lunga la più estesa nazione del pianeta. Ha poco interesse a conquistare una manciata di regioni ucraine o ad aggiungere nuove terre alla vastità della Russia. Invece, le decisioni di Putin sono modellate da una fede quasi mistica nella sua missione storica che va oltre la comprensione di molti, inclusa una parte degli osservatori in Occidente. L’intera carriera politica di Putin è stata definita dal suo ardente risentimento per quelle che ha percepito come ingiustizie conseguenti il crollo sovietico.

Fin dai primissimi anni del suo regime, è stato evidente che Putin considera l’emergere di un’Ucraina indipendente come un simbolo particolarmente doloroso dell’umiliazione post-sovietica della Russia. Oggi risulta evidente che, nel 2005, quando ha descritto la disintegrazione dell’Unione Sovietica come la “più grande catastrofe geopolitica del ventesimo secolo”, stava pensando all’Ucraina. Nei due decenni successivi, Putin ha spesso riproposto la sua farneticazione secondo cui gli ucraini sono in realtà russi che non hanno alcun diritto legittimo a un proprio Stato. L’ossessione di Putin per l’Ucraina non è solo il prodotto della sua determinazione a invertire il verdetto del 1991. Fondamentalmente, egli considera gli sforzi dell’Ucraina moderna per garantire un futuro europeo democratico come un potenziale catalizzatore per l’ulteriore disgregazione della Federazione Russa. L’esperienza politica di Putin è iniziata durante gli anni crepuscolari dell’Urss. Da giovane ufficiale del Kgb nella Germania dell’Est assistette alla caduta del muro di Berlino e vide con orrore l’intero impero sovietico nell’Europa centrale e orientale svanire quasi da un giorno all’altro. Questo ha portato Putin a sviluppare una profonda avversione verso qualsiasi forma di democrazia associata alla consapevolezza della fragilità imperiale della Russia.

Alla luce di questo retroscena, non sorprende che sia stato profondamente segnato dal lento ma costante consolidamento delle credenziali democratiche di Kyiv. Data la natura frammentaria della Federazione Russa, Putin è da tempo profondamente consapevole che, se non ostacolato, il rafforzamento della democrazia in Ucraina e il successo della sua autodeterminazione potrebbero alla fine ispirare movimenti di secessione e portare al collasso del suo modello imperiale. Per Putin, quindi, l’indipendenza ucraina rappresenta una minaccia esistenziale per la Russia stessa. Questo spiega perché è stato disposto a rischiare tutto per cancellare l’Ucraina dalla cartina geografica. Si fa anche beffe di coloro che suggeriscono che potrebbe essere placato dall’offerta delle regioni ucraine attualmente sotto l’occupazione russa. Chiaramente, Putin non può rischiare la sopravvivenza di un’Ucraina autenticamente indipendente. Deve riaffermare il controllo russo su Kyiv, o estinguere del tutto lo Stato ucraino.

Le ambizioni imperiali di Putin non si limitano all’Ucraina, ovviamente. Egli descrive abitualmente l’attuale invasione come una ricerca per restituire “storicamente le terre russe”, lasciando la porta aperta per ulteriori guerre di aggressione contro altri ex vassalli dell’Impero russo, tra cui Finlandia, Polonia, Stati baltici, Bielorussia, Moldova, Armenia, Georgia, Azerbaigian e l’intera Asia centrale. La prova di questo crescente appetito imperiale è già evidente. Quando Putin ha annunciato per la prima volta l’invasione su vasta scala dell’Ucraina, nel febbraio 2022, ha negato di avere ambizioni territoriali al di là delle due province dell’Ucraina orientale che compongono la regione del Donbas.

Successivamente, Putin ha ampliato le sue pretese territoriali, arrivando ad includere ben quattro province, nonostante il fatto che l’esercito russo non avesse ancora stabilito il controllo completo su nessuna di esse. Questo dimostra che le concessioni territoriali non fermeranno Putin. È fondamentale che i partner dell’Ucraina comprendano che qualsiasi accordo per cessare le ostilità non porrebbe fine alla minaccia russa. Al contrario, segnerebbe l’inizio di una nuova fase nella lotta contro l’impero russo di Putin. Questa lotta richiederà un’eterna vigilanza assieme a un drammatico aumento della spesa per la difesa in tutto l’Occidente. I leader occidentali devono impegnarsi per assicurare delle garanzie di sicurezza efficaci per l’Ucraina. Solo questo potrà evitare che Putin possa continuare la sua impresa criminale per ottenere un posto nella storia russa.

(*) Docente universitario di Diritto internazionale e normative per la sicurezza

Aggiornato il 16 novembre 2024 alle ore 14:07