Elezioni Usa: vince il pragmatismo

Ha vinto Donald Trump. Ha perso il Partito Democratico. D’altro canto il Gop da un lato e Kamala Harris dall’altro, volenti o nolenti, si sono ritagliati un ruolo residuale, direi addirittura esornativo, in questa campagna elettorale dove gli attori protagonisti hanno assunto le sole sembianze di Donald e dell’asinello democratico.

Il conservatorismo statunitense, tradizionalmente inteso, ha ben poco a che fare con il neo presidente, difficilmente catalogabile per l’appunto con gli schemi politico-culturali del passato: lontanissimo dai neocon, soprattutto per la sua scarsa vocazione all’interventismo finalizzato all’esportazione della democrazia; vagamente allineato all’esperienza del conservatorismo compassionevole, con una filosofia sociale che vede nello Stato, ancor prima che nei corpi intermedi della società, il principale principio attivo; parzialmente reaganiano, specie per quanto riguarda la costante tensione verso una riduzione della pressione fiscale, meno invece per quel che concerne il libero scambio e i mercati internazionali.

Trump, insomma, è un surrogato di esperienze passate, una versione liofilizzata del pensiero eclettico, cosa ben diversa dal poterlo definire un fusionista. Questo perché a lui non interessa rammendare pazientemente sensibilità politiche differenti, sedimentarie, farle crescere per poi mantecarle in una proposta programmatica unitaria. A lui non importa che le idee convergano su un principio cardine. A lui preme che gli “altri” convergano sulla sua persona. Gli “altri”, intesi come elettori repubblicani e non. Il movimento. È così che lo definisce, e tant’è. Poi, come dicevo sopra, ci sarebbe stata anche Kamala Harris. Ma da quando è scattata la sua ora, entrando nell’agone elettorale, la dimensione stereotipata della candidata ha avuto la meglio sulle sue reali capacità e competenze. E quindi l’essere donna e di colore ha avuto un peso specifico maggiore rispetto al “cosa sapesse fare” e a “quali fossero le sue reali volontà di azione”. Poi tutto quello star system di attori e intellettuali di varia estrazione, ma accomunati da una certa vicinanza alla cultura woke e comunque paladini del politically correct, ha avuto l’effetto dirompente di irritare una fetta cospicua dell’elettorato yankee che invece di sostenere l’utopia dem ha pensato bene di accogliere il pragmatismo trumpiano fortemente aderente ai problemi del Paese reale.

Aggiornato il 07 novembre 2024 alle ore 13:49