Sconfiggere l’Idra islamica
Dilemma israeliano: entrare con le truppe di terra in Libano, o subire in eterno lo stillicidio dei bombardamenti quotidiani da parte di Hezbollah? Se l’invasione limitata del Sud servisse a cancellare la milizia più agguerrita e meglio armata della famiglia dei proxy degli Ayatollah, dopo averne decapitata la Guida suprema, allora andrebbe anche bene. Solo che Beirut (Sud) non è Gaza e il Libano da sempre è una terra contesa tra Siria e Iran, entrambi oggi protetti dal veto russo in Consiglio di Sicurezza Onu. Quindi, Israele sarà ancora una volta da solo a tentare di liberare se stesso e il mondo dalla nuova Idra islamica. Del resto, considerato che ormai, per partito preso contro l’Occidente, il Global south si mette di traverso qualunque sia la giusta causa da difendere, c’è da capire che cosa farebbe uno qualunque di loro, e noi naturalmente, se fossimo nelle condizioni in cui attualmente si trova lo Stato islamico.
Un piccolo Paese, circondato da nemici irriducibili e dilaniato da tempo dalla guerra per proxy dichiaratale da Teheran fin dal 1978. Com’è ben noto, oggi i suoi più spietati e indefettibili esecutori si riconoscono nelle milizie sunnite di Hamas e in quelle sciite degli Hezbollah libanesi (ai quali si sono giustapposti di recente gli Houthi sciiti), tutti uniti nella volontà genocidiaria e totalitaria della cancellazione dello Stato ebraico dalle carte geografiche del Medio Oriente. Del resto, per l’Iran, ora più di ieri, è assolutamente necessario dissanguare Israele (depotenziando l’influenza degli Usa e dell’Occidente nella regione), affinché non abbia più la forza di colpire i suoi siti di arricchimento dell’uranio. Sconfitto il piccolo satana, infatti, nessuno fermerebbe più la corsa degli sciiti a produrre per primi un’arma nucleare in Medio Oriente, cosa che renderebbe Teheran padrona della regione, minando per sempre la sicurezza degli Stati arabi (sunniti) confinanti.
Almeno nel breve termine, l’obiettivo dell’Iran e dei suoi sodali è molto chiaro: un’imminente invasione del Libano significherebbe l’apertura di un secondo fronte che, oltre a comportare pesanti perdite per l’esercito israeliano, significherebbe l’abbandono forzato dell’iniziativa diplomatica messa in atto dall’uscente amministrazione di Joe Biden. Infatti, avvalendosi della mediazione del più grande player mediorientale (come l’Arabia Saudita) per il dopo Gaza, gli Usa ponevano al centro dei futuri accordi di pace il ritorno nella Striscia della super discreditata Autorità Palestinese: ipotesi che, a questo punto, diviene del tutto irrealistica. Del resto, va anche detto che questa strategia di Teheran di intensificare la guerra per proxy mira sì alla distruzione di Israele, ma senza sacrificare un solo iraniano in questa partita, mettendo cinicamente in conto decine di migliaia di perdite tra i civili altrui, come quelli dei popoli palestinese, libanese, siriano e yemenita, sui quali l’Iran aspira un giorno a regnare di nuovo, come ai bei tempi dell’Impero persiano.
Se non sono pochi ad ammettere che il governo guidato da Benjamin Netanyahu ha ben ragione nel denunciare la suddetta strategia di annientamento di Israele da parte di Khamenei e soci, d’altra parte sono in pochissimi a sostenere la necessità di farla finita anche con Hezbollah entrando di nuovo in Libano con l’esercito. Del resto, osservano gli scettici, visto che malgrado Gaza sia stata rasa al suolo, Hamas è ancora vivo e vegeto (anche se mutilato all’80 per cento nelle sue capacità operative), non potrebbe andare diversamente anche con la milizia sciita libanese, molto più agguerrita e numerosa del suo corrispondente sunnita palestinese. Ma, anche qui, siamo sempre dentro quella storia senza fine tra quale sia il peggiore dei mali, che nel recente passato ha voluto dire di dover scegliere, da un lato, tra la sopravvivenza di dittatori sanguinari, come Saddam Hussein e Muammar Gheddafi, o lasciare dall’altro il passo ai conflitti tribali e interreligiosi, con i risultati terribili che sono sotto gli occhi di tutti da 20 anni a questa parte.
Ora, dato che la testa dell’Idra è a Teheran, che cosa comporterebbe la sua fine? Libertà per il martoriato popolo iraniano, o una guerra civile ancora più sanguinosa e lunga di quella siriana, tra i pasdaran super armati e l’esercito regolare, da una parte, contro dall’altra il resto della popolazione? Sì, certo, l’apertura di un secondo fronte fa comodo, visto sul versante di Netanyahu e dell’ideologia messianica della sua coalizione di governo, che hanno messo in primo piano la necessità di fronteggiare e sconfiggere la minaccia esistenziale rappresentata dalle milizie filo iraniane. Ma è pur vero che per riuscirci Israele non può contare solo su se stesso, come si è visto mesi fa quando una coalizione internazionale è intervenuta per fermare la pioggia di missili e droni partiti dalle basi iraniane, in rappresaglia all’attacco del consolato dell’Iran a Damasco.
Per recidere definitivamente la testa dell’Idra, dopo averne tagliato i tentacoli palestinese e libanese, Israele deve possedere i seguenti requisiti: disporre di molto tempo (un’impresa simile non può essere conclusa in un giorno); assicurarsi risorse abbondanti per il sostegno all’economia interna e l’acquisto di armi, soprattutto statunitensi e occidentali; avvalersi di una rete ampia di alleanze che, oltre l’America, comprenda gli Stati arabi e l’Europa; vedersi riconosciuta la piena legittimazione internazionale all’azione contro l’Iran e i suoi proxy, cosa che come si è visto in sede Onu non è per nulla scontata. Questo perché la galassia del Global south e non poca parte dell’opinione pubblica occidentale hanno avuto buon gioco nel mettere all’angolo lo Stato di Israele e il suo governo, accusandoli di genocidio a seguito delle decine di migliaia di vittime palestinesi a Gaza. E, del resto, storicamente, le “uccisioni mirate” dei leader radicali palestinesi e libanesi non hanno da sole mai contribuito alla resa delle loro milizie, dato che, come dice un vituperato proverbio, “morto un Papa se ne fa un altro”, e non esistono vuoti da colmare in sistemi ferocemente cooptativi e segreti come Hezbollah e Hamas. A questo punto, non resta che aspettare Donald Trump, visto che Kamala Harris non potrà che ribadire la politica finora seguita da Joe Biden.
Aggiornato il 01 ottobre 2024 alle ore 10:10