La lotteria di Matignon: Barnier ha vinto

Emmanuel Macron, il maestro d’orchestra del caos politico generato dal risultato delle recenti legislative anticipate, volute dallo stesso Presidente della Repubblica, ha messo fine a distanza di due mesi al toto-premier per Matignon, scegliendo per quel ruolo, con un atto di cesarismo, il navigatissimo Michel Barnier, non proprio un suo caro amico. Il prescelto, 73 anni, è un politico francese di lungo corso, ex ministro dell’Ambiente nel Governo Balladur (1993-95), ministro delegato per gli Affari Europei nel Governo di Alain Juppé (1995-97) e Commissario europeo per la politica regionale e la riforma delle istituzioni (199-2004). Inoltre, Barnier ha acquisito un indubbio prestigio internazionale guidando tra il 2016 e il 2021 le complesse trattative per l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, mostrando grandi doti di negoziatore. Queste ultime gli torneranno certamente molto utili per mettere assieme una maggioranza parlamentare che va da Jean-Luc Mélenchon ai centristi gaullisti, tenendo fuori l’estrema destra lepenista e i suoi alleati. Subito dopo la nomina di Barnier, l’avviso di bufera è arrivato dal leader indiscusso della France Insoumise, che lo ha silurato con un ukaze, dichiarando che “Michel Barnier non viene dal Nuovo Fronte Popolare che ha vinto le elezioni, ma da un partito che ha preso meno voti di tutti. L’elezione è stata rubata” e, pertanto, “è in corso una negazione della democrazia: esorto alla mobilitazione più partecipata possibile per la manifestazione del 7 ottobre”.

A Melenchon ha fatto immediatamente eco su X Olivie Faure, segretario del Partito socialista francese, dichiarando che “la negazione della democrazia ha raggiunto l’apice: si è nominato Barnier, un premier del partito che è arrivato quarto e non ha nemmeno partecipato al fronte repubblicano. Entriamo in una crisi del regime”. Ma se il rosso si mette di traverso, ecco spuntare il nero pronto a colmare in modo sussidiario i vuoti aperti dall’estrema sinistra, tanto è vero che Jordan Bardella ha assicurato che il Rassemblement National “giudicherà il discorso di politica generale” del nuovo premier, prima di decidere se voterà o no la sfiducia al suo governo: “Noi − ha scritto Bardella su X − chiederemo che le emergenze dei francesi, il potere d’acquisto, la sicurezza, l’immigrazione, siano finalmente affrontate e, se così non sarà, ci riserviamo qualsiasi strumento politico di azione nelle prossime settimane”. Marine Le Pen, rafforzando il concetto, ha poi dichiarato: “Esigeremo che il nuovo capo del governo rispetti gli 11 milioni di francesi che hanno votato per il Rassemblement National e le loro idee. Saremo attenti al progetto che porterà avanti Barnier e vigileremo affinché vengano ascoltate e rispettate le aspirazioni dei nostri elettori, che rappresentano un terzo dei francesi andati a votare”. Chiara, a questo punto, la tenaglia delle estreme pronta a scattare (come del resto era più che prevedibile), per riportare di nuovo alle urne i francesi dopo una più che scontata, lenta agonia politico-parlamentare del premier designato, destinato a immolarsi pur di non mettere a rischio immediato la presidenza di Macron.

Così, il coniglio Barnier è finalmente uscito dal cilindro presidenziale pronto per i ceppi del potere, dato che in passato, presentatosi come candidato-Presidente alle elezioni del 2022, Barnier aveva severamente censurato i risultati della presidenza Macron, rimproverandogli di aver governato “in maniera solitaria e arrogante”. Sullo sfondo, resta l’impressione di un regime presidenziale a fine corsa, data la reticenza di Macron a prestare ascolto al messaggio (per lui molto sgradevole) che gli hanno inviato gli elettori con le elezioni anticipate di luglio. La maggioranza dei francesi, cioè, rifiuta di avallare le sue scelte politiche e se il Presidente è rimasto all’Eliseo lo deve alla convergenza degli elettori di sinistra sui macronisti, che hanno fatto fronte unico per impedire la vittoria dei lepenisti, grazie agli accordi di desistenza del secondo turno. Con la scelta di Barnier, ancora una volta Macron ha mancato di rispetto alle istituzioni repubblicane, cercando una soluzione per il Governo al di fuori del Parlamento, che ha la responsabilità di individuare una coalizione per la formazione di un esecutivo di maggioranza. Finora, in questi due mesi di limbo, la Francia ha navigato a vista con un debito pubblico fuori controllo, rimanendo sotto stretta sorveglianza della Commissione per deficit eccessivo, mentre il bilancio per il 2025 è ancora in alto mare. In questi mesi sospesi dalla realtà, la Francia ha trattenuto il fiato per sapere come sarebbe stata compilata la lista dei ministri, senza tenere conto che il 20 settembre Parigi è attesa a Bruxelles per presentare il suo piano di rientro per l’assestamento della finanza pubblica fuori controllo (la peggiore performance in tal senso di tutti i Paesi Ue), già sanzionata dalle agenzie internazionali di rating e dal crollo degli investimenti esteri.

A dire il vero, questa sottovalutazione della crisi economico-finanziaria da parte di tutto il mondo politico francese e del suo Presidente viene da lontano, dato che tutti gli attori politici coinvolti, salvo rare eccezioni, sembrano aver adottato la massima di Oscar Wilde, secondo cui la Francia vive talmente al di sopra dei suoi mezzi, in modo tale che tra questi ultimi e i suoi cittadini esista una completa dissociazione di responsabilità! Soprattutto nel caso in cui il neonominato premier dovesse accondiscendere alle richieste da bancarotta che gli verranno dalle ali estreme del Parlamento, che vogliono tutto e di più, a spese del bilancio pubblico, per mantenere le promesse fatte ai loro elettori di aumentare per centinaia di miliardi le coperture del welfare. In tal senso, il braccio di ferro tra Macron e i francesi sul tema cruciale delle pensioni è ben lungi dall’essere risolto, visto che su questo punto Le Pen e Melenchon sono alleati di fatto per ritornare al regime previdenziale pre-riforma, che prevede il pensionamento a 62 anni d’età, con inaccettabile aggravio dei conti pubblici francesi. Ora, alle condizioni date, non si vede come il futuro esecutivo Barnier possa sopravvivere a una futura mozione di censura parlamentare che, se approvata, implica le dimissioni immediate del Governo e quelle conseguenti di Emmanuel Macron.

Aggiornato il 06 settembre 2024 alle ore 11:02