Elezioni in Venezuela: dati raccapriccianti

I dati sulle elezioni presidenziali in Venezuela sono raccapriccianti, per quanto rappresentano un falso clamoroso. Anche io fui testimone dei “metodi di convincimento” del regime di Hugo Rafael Chávez Frías, quando un gruppo di impresari, docenti, rettori del fu “Venezuela felix”, già con le valigie in mano per venire a Roma a presentare ai parlamentari italiani le infamie del socialismo chavista, furono convinti con alcune telefonate a desistere dal viaggio, in quanto le loro famiglie, rimaste in Venezuela, avrebbero ricevuto “visite e controlli”. Ci pregarono di non dare nemmeno la notizia alla stampa italiana. Così va avanti una nazione guidata da falsari.

Il quotidiano El Nacional scrive “La Cne (Commissione elettorale) annuncia il trionfo di Nicolás Maduro (mentre la opposizione protesta)”. Con l’80 per cento dei seggi scrutinati il presidente avrebbe ottenuto 5.150.092 voti, cioè il 51,20 per cento, mentre l’oppositore Edmundo González ne avrebbe ottenuti 4.445.978, il 44,2 per cento. González era il favorito dai pronostici (peraltro vietati dal regime) col 20 per cento di vantaggio. Si noti che Maduro aveva anche scelto il suo oppositore (un moderato), dopo aver bloccato altri candidati non graditi, come la vincitrice delle primarie della “Piattaforma democraticaMaría Corina Machado. La stessa Machado afferma di avere le prove che l’opposizione ha vinto col 73,20 per cento dei voti. I dati saranno sulla falsificazione dei dati elettorali trasmessi digitalmente dal Governo Maduro allo stesso Esecutivo e saranno a disposizione nelle prossime ore.

Nel Paese è esploso il ciclo di proteste e repressione immediata: distrutte cinque statue del fu Hugo Chávez e bruciati molti manifesti elettorali pro Maduro. Due morti negli scontri, secondo le Ong. Impossibile capire il numero di arresti e sparizioni, tra cui 25 studenti della Universidad Experimental de la Seguridad, dove studiano futuri ufficiali delle Forze di polizia e sicurezza. A Caracas i manifesti elettorali erano solo quelli di Maduro, ex autista di autobus – prima di essere assunto nella corte di Hugo Chávezche ama comunicare sul social cinese TikTok. La televisione, come la stampa, è quasi tutta legata, mani e piedi, da un regime che ha ospitato libanesi legati a Hezbollah e che ha imparato dai regimi di Teheran e Mosca i metodi per fermare ogni rivolta. Degli otto milioni di venezuelani emigrati – ovvero fuggiti su sentieri pericolosi verso la Colombia o il Brasile – solo in 70mila hanno potuto iscriversi ai registri dei votanti all’estero.

I controlli internazionali sono stati quasi impossibili: una delegazione del Partido popular spagnolo è stata bloccata all’arrivo nello scalo aereo di Caracas. La legittimità del voto è contestata dall’opposizione – che è convinta di aver vinto – e dai numerosi Osservatori internazionali. Il Centro Carter invita la Cne a rendere pubblica tutta la documentazione del voto. Ma la Cne – ça va sans dire – è strettamente legata al regime, e quindi non si caverà il ragno della dittatura dal buco della falsità. La leader dell’opposizione, Machado, ripete che il voto “è un oltraggio alla verità”. Il segretario generale dell’Onu, António Manuel de Oliveira Guterres, ha richiesto al Governo Maduro una conta dei suffragi “di completa trasparenza”. Anche il Governo brasiliano ha richiesto la pubblicazione degli atti “immediata e alla luce del sole”. Cile e Stati Uniti solidarizzano con l’opposizione, mentre Cina e Iran glorificano Maduro.

La risposta è stata sfrontata: espulsi “per interferenza con gli affari interni del Venezuela” gli ambasciatori di Cile, Argentina, Uruguay, Costa Rica, Peru, Panama, Repubblica Dominicana. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri di Caracas, Yvan Gil, sul suo profilo X.

ECONOMIA, UN MIRACOLO ALLA ROVESCIA

Mentre quasi otto milioni sono emigrati, altri sette milioni di venezuelani patiscono la fame. Il 52 per cento della popolazione vive in povertà estrema, sotto la soglia di sussistenza, alla faccia del socialismo “egualitarista”. La nazione, che era una capitale del petrolio (benché di bassa qualità), è quasi senza benzina e tormentata da blackout. Di conseguenza, il narcotraffico è uno dei componenti economici nazionali, cui non sono estranei gruppi legati alla nomenklatura al potere. Il 48 per cento del Pil nazionale è prodotto dal commercio, dove risiede il fulcro della protesta contro la dittatura “bolivarista”. In realtà, buona parte dei commercianti sono sotto stretto controllo di un’economia militarizzata, con una presidenza che in sostanza è peggiore di una monarchia assoluta. Il mostro dell’inflazione è stato tenuto a bada con interventi di sostegno alla moneta venezuelana da parte della Banca nazionale. Nel 2022 l’inflazione era stata del 286 per cento e nel 2023 del 193 per cento. Nel 2024 il tasso dovrebbe scendere al 37 per cento.

INDECENZA SUI DIRITTI UMANI

Chávez e il suo successore Maduro sono – secondo Amnesty International e non solo – responsabili di ogni genere di crimine politico, a partire dalla sparizione di molti oppositori (Chávez ebbe modo di conoscere il metodo del buttare giù da aerei militari nell’Atlantico i nemici della Giunta militare Videla in Argentina, dove trovò riparo dopo il rilascio dal carcere dov’era detenuto per tentato golpe). A Buenos Aires, Chávez entrò in contatto col fascista Norberto Ceresole, poi divenuto suo consigliere politico, il quale fu antisemita e filo-iraniano. Lo stesso Governo Maduro ha riconosciuto 455 casi di sparizione forzata. Le forze di sicurezza, ma soprattutto agenti in borghese e la milizia dei “motorizados” che girano in moto come la “polizia morale” iraniana, controllando strade e piazze, eseguono omicidi mirati. Crimini contro l’umanità sono stati compiuti anche secondo le agenzie Onu, così come la persecuzione etnica di indios alle foci dell’Orinoco. Contro questo regime (e contro altre nazioni rosso-brune) in Italia non si ha notizia di proteste, sit-in, manifestazioni, grida e strepiti in Parlamento o nelle piazze da parte della sinistra del “campo largo” ma dall’ideologia stretta. Eppure, giornalisti avveduti e competenti sull’America Latina come Omero Ciai – ex inviato de La Repubblica – hanno da decenni descritto chiaramente le infamie della dittatura chavista e madurista.

IL PUTINISMO DI MADURO: INVADERE UNA REGIONE DEL SURINAME, RICCA DI ORO E PETROLIO

Il bolivarismo è ignorato persino in America Latina, a parte il Brasile, che teme un’invasione di immigrati venezuelani e cerca di contrastare la ventilata conquista venezuelana della Esequiba (una regione della ex Guyana olandese, oggi Suriname) tramite invasione militare. Nel 2023 si apre la crisi diplomatica col Suriname, Repubblica indipendente da 49 anni con 618mila abitanti, la cui capitale Paramaribo ospita il 90 per cento della popolazione totale, di cui il 22 per cento è di origine indiana e religione induista, una “migrazione sollecitata” dagli olandesi nell’Ottocento. Molti surinamesi sono emigrati in Olanda. Nel 2023, il presidente-dittatore indìce un referendum consultivo sull’annessione della Guyana Esequiba come Stato federato del Venezuela. Nell’Esequiba ci sono ricchi giacimenti di oro e petrolio, che con la bauxite costituiscono la ricchezza del Suriname. Nel 2018, la Exxon statunitense scoprì altri ricchissimi giacimenti di petrolio nel mare della Esequiba, la cui terra è disabitata e inesplorata, anche se è grande quanto metà Italia (159.500 chilometri quadrati). Da lì casualmente è rinato un vecchio contenzioso tra Venezuela e Guyana.

Il 5 dicembre 2023 Maduro ha ordinato di aprire un dibattito parlamentare per approvare una legge per annettere la “Guyana Esequiba” come parte del Venezuela, annunciando anche che avrebbe creato una “zona di difesa globale della Esequiba”. Il presidente brasiliano Lula da Silva si è proposto come mediatore, anche se politicamente è molto più vicino a Maduro che al Governo della Guyana. Il contenzioso nasce alla fine dell’impero spagnolo, quando l’Esequiba viene affidata al controllo del Venezuela. A fine Ottocento la questione venne definita da un arbitrato internazionale, che si concluse col Lodo di Parigi del 1899, con il quale la regione veniva interamente affidata all’allora Guyana olandese, col confine attuale.

Fu certo il segno di un braccio di ferro che pendeva in favore del più forte, l’Olanda. Tuttavia, ciò non significa che Maduro possa invadere una superficie grande come mezza Italia, dopo aver occupato con la forza anche tutto il “suo” Venezuela.

Aggiornato il 30 luglio 2024 alle ore 11:43