Suvvia, Joe Biden non poteva rimanere in sella. Al netto dell’attentato in Pennsylvania che ha impennato le chance trumpiane di conquistare la Casa Bianca, il presidente democratico ha dimostrato dei limiti macroscopici a livello comportamentale. Della serie: anche se fosse riuscito a vincere le elezioni, come avrebbe potuto reggere un altro quadriennio di pressioni e responsabilità elevatissime come si conviene al politico più potente del mondo? Ora che la palla passa, molto probabilmente, a Kamala Harris, il Partito democratico non ha più scusanti: a vincere o a perdere sarà l’intero apparato liberal e non un solo uomo. Facile immaginare che verrà enfatizzata l’immagine stereotipata della Harris, ovverosia una donna di colore che aspira allo Studio Ovale. Un inedito dalle parti di Washington. Quindi una sfida elettorale che si giocherà molto sul richiamo all’appartenenza sociale ed etnica, tipo afroamericani e statunitensi di origine asiatica da un lato e proletariato bianco dall’altro (i cosiddetti “forgotten men”). Va da sé che le spaccature elettorali si andranno a insinuare nelle altre molteplici increspature che contraddistinguono la complessa società a stelle e strisce. A discapito della Harris vi è una vicepresidenza alquanto opaca e un sostegno partitico da parte dei democratici non proprio granitico. Insomma, la sfida tra l’elefantino e l’asinello sarà maggiormente competitiva, sebbene il vantaggio rimane, al momento, ad appannaggio dell’uomo del Maga.
Aggiornato il 23 luglio 2024 alle ore 14:09