Nei prossimi giorni si potranno meglio capire le cause della morte del presidente iraniano Ibrahim Raisi, al momento indecidibili. In effetti il viaggio di Raisi è stato insolito (non uso “Ebrahim”: la grafia inglese con successiva mala fonetica per traslitterare altre lingue è una delle topiche nazionali), perché un regime tra i più infami del pianeta, molto attento alla sicurezza, ha mandato il suo presidente – col ministro degli Esteri, Hussein Amirabdollahian – nel non meno infame Azerbaigian per un incontro col dittatore Ilham Aliyev. Iran e Azerbaigian fanno parte del nuovo Grande gioco che non si limita a creare un’alternativa al potere occidentale, ma cerca di imporre ovunque un impero mondiale in cui la democrazia, la libertà, la libera opinione e il libero mercato siano vietati. Raisi e Ilham Aliyev assistono all’inaugurazione della diga di Qiz Qalasi. Poche ore dopo, l’elicottero (stranamente vecchio, come gli altri due del gruppo di volo) riparte verso Tabriz, una volta fiorente centro mondiale dell’artigianato del tappeto, per giunta attraversando una zona montuosa in cui il pessimo maltempo dà visibilità zero. Un rientro singolare, per un presidente.
Impossibile capire se Raisi avesse contatti segreti con potenze straniere, senza cadere nel complottismo. Certamente in Iran la decadenza fisica (dovuta probabilmente a un tumore) della “guida suprema” Ali Khamenei acuisce l’eterna faida del regime, ancorato nelle mani della guida suprema. Tra queste fazioni ricordiamo l’esercito, le “Guardie della rivoluzione”, ovvero i Pasdaran con la milizia Basij, infine le forze della polizia islamica e il Consiglio dei guardiani. Se la prossima mossa sarà quella di non andare verso elezioni immediate, vorrà dire che la faida tra i gruppi di potere che potranno gestire la successione di Khamenei è irrisolta. E che la stessa “Guida” teme un risultato che già nell’ultimo confronto, pur in un clima di dura repressione, ha sancito una pesantissima astensione nelle città (il 10 per cento di votanti in alcuni casi). Il regime riesce a governare una popolazione che ormai, secondo alcune fonti, è all’80 per cento solidale con la rivoluzione dei giovani. Viceversa, le elezioni immediate vorrebbero dire che Khamenei è ancora sicuro di poter mantenere intatto il sistema di potere degli ayatollah, fondato come quello russo sulla forza religiosa, coadiuvata dall’apparato repressivo (in Russia la chiesa ortodossa è in realtà un fantoccio di Vladimir Putin, al contrario del contesto iraniano).
Quanto al potere economico, questo sarebbe in gran parte in mano dei Pasdaran, i quali controllerebbero un terzo dell’intera economia iraniana, gestendo la produzione di aerei, missili e infrastrutture come le dighe. L’Iran è il quarto produttore mondiale di petrolio, e il secondo per il gas. Tuttavia, forse per la sua cultura statalista nazional-socialista, fondata, come il “gemello” Venezuela, sulla triade Caudillo, ejército, pueblo (titolo di un libello scritto dal fu consigliere politico del fu Hugo Rafael Chávez, un fascista di nome Norberto Ceresole) predica egualitarismo del popolo di fronte alla fede sciita, e millanta falsamente una redistribuzione delle ricchezze prodotte dagli idrocarburi. Con una cultura economica così tristemente simile a quella ancora presente in Occidente – in regimi democratici! – l’Iran riesce nel miracolo di trasformare il vino (il petrolio) in acqua marcia (l’economia). Così l’inflazione resta alta, e l’interscambio commerciale è basso, limitato dalle sanzioni contro la realizzazione di un’arma atomica in mano a pazzi che uccidono una ragazza perché una frangia di capelli spunta fuori dal velo islamico.
Ibrahim Raisi fu nominato presidente tre anni fa. In origine era un magistrato rampante arrivato a dirigere la potente Corte suprema, essendo un delfino della Guida suprema Ruhollah Khomeyni, che nel 1988 diresse il “comitato della morte”, che “ripulì” in pochi mesi l’Iran dai Mujaheddin del popolo e dal Partito comunista Tudeh filosovietico, con un massacro giudiziario applicato con le condanne a morte di un numero tra gli ottomila e i trentamila prigionieri politici. Questa morte non produrrà conseguenze belliche, nonostante le grida di molte galline isteriche dei social e dei media mainstream. Conseguenze interne all’interno del regime sono però possibili. Ciò che dobbiamo temere è la demonizzazione del “Grande Satana” occidentale, che è comune agli islamici integralisti e agli occidentali “pacifisti” perché resi ignoranti o perché l’erba del vicino è sempre più verde, anche se questi è un dittatore turpe. André Glucksmann (Occidente contro Occidente, Lindau 2003) ricordava che “i francesi hanno dato più preferenze (3 a 1) sulla scala del consenso a Saddam che a Bush”. “Pacifisti, non dimenticate gli oppressi”, aggiungeva nel testo di Gluksmann José Ramos Horta, di Timor est). Senza calcolare gli amici degli oligarchi.
Dobbiamo infine considerare una lezione biblica molto istruttiva (1 Samuele, capitolo VIII). Uno dei vantaggi della cultura ebraica era quello di non nascondere gli errori, nemmeno quelli dei “santi”. Samuele, nominato giudice dopo le sconfitte contro i Filistei, era vecchio e aveva nominato giudici i suoi figli. Ma costoro, dopo essere diventati l’autorità suprema, avevano amministrato male. A quel punto, i rappresentanti del popolo – che comunque già covavano l’idea – vanno a Rama dove risiedeva Samuele e gli dicono: “Costituisci sopra di noi un re che giudichi come in tutte le nazioni”. Si calcoli che fino ad allora il “Re” di Israele era il Dio di Mosè e dei patriarchi, mentre l’amministrazione era eseguita appunto dai “giudici”. Samuele prova a far rinsavire il popolo: “(Il re) piglierà i vostri figlioli, li metterà sopra i suoi carri e i suoi cavalieri (in sua difesa); li prenderà per arare i suoi campi…, per fabbricare le sue armi… Egli prenderà anche le vostre figliole per profumiere, cuoche e panettiere. Piglierà i vostri campi e le vostre vigne e i vostri migliori uliveti… Terrà le decime delle vostre vigne, sementi… la decima delle vostre greggi… e voi gli sarete servi”.
Il popolo non lo ascolta e ribadisce: “No, ci sarà un re sopra di noi. Saremo come tutti gli altri: il nostro re ci giudicherà, uscirà davanti a noi e condurrà le nostre guerre”. Gli uomini amano essere guidati da un capobranco, e preferiscono un tiranno (come fu il primo re Saul) al loro dio e a ogni Governo “minimo e liberale”. Si noti che – dopo Saul – regnarono bene Davide e suo figlio Salomone, ma dopo arrivò la divisione in due regni, quello di Giuda a sud e quello di Israele a nord. Nessuno dei re dopo Salomone fu meno che un incapace o un dittatore. Il testo ci dice che gli uomini si fanno allettare dal più ringhioso tra di loro, e tendono a preferire le forme di Governo peggiori. Il problema – quando poi si rendono conto di ciò – è che allora rinsaviscono e urlano invano al cielo e alla terra. Solo che è troppo tardi, e pagheranno a carissimo prezzo il ritorno alla libertà. Successe così nella Russia di ieri come in quella di oggi. Successe così coi fascismi che produssero la Seconda guerra mondiale. È successo così anche quando, nel 1979, fiumi di iraniani glorificarono il ritorno dell’ayatollah Ruhollah Khomeyni. I più allocchi tra gli entusiasti del potere sciita furono i comunisti filosovietici, che si allearono di corsa con l’ayatollah che li cancellò dalla terra di Persia, mentre qualcuno di loro, nella pur tetra dittatura dello Shah, poteva ancora vivere e sopravvivere.
Aggiornato il 21 maggio 2024 alle ore 16:08