“Namasté” Cina
Quanti “Dragoni” conoscete? Almeno due, si spera: Cina e India. E di quanti San Giorgio avremmo bisogno per spegnerne le fiamme? Per ora, ce n’è soltanto uno ammaccato, quello degli Usa di Joe Biden, la cui società è parecchio “rotten” (malandata) e ferocemente divisa al suo interno, tanto da spuntare la lancia del povero difensore dell’umanità indifesa. E se credete che il secondo Dragone, l’India, sia più mansueto e “democraticamente” digeribile di quello partorito dal Celeste Impero, ebbene sbagliereste.
Basta leggere l’articolo del premier Narendra Modi pubblicato dal Corriere della Sera, in merito alle conclusioni del G20 da lui presieduto e abilmente pilotato. In merito, basta consultare il grazioso volumetto di 29 paginette che riassume ecumenicamente tutti gli impegni altisonanti della riunione, tenutasi a New Delhi il 9 e il 10 settembre scorsi. Ebbene, lì troverete a pagina 22 un’elegante trappola indiana per topi (occidentali, dato che la Cina e le Tigri asiatiche andranno per la loro strada), cui è stato dato un nome apparentemente innocuo: “Technological Transformation and Digital Public Infrastructure (Dti)”, citata da Modi. Si tratta, in pratica, di un megaprogetto (ovvero, una nuova piattaforma informatica globale Made in India) che disegna una pubblica infrastruttura digitale di sistemi informatici condivisi, per la fornitura di servizi digitali su scala “societale” (a beneficio, cioè, di intere comunità e società nazionali). Quali servizi, quindi? I più delicati che esistono. Che vanno, cioè, dai sistemi biometrici di identificazione, ai pagamenti digitali, al data management, settori questi ultimi dove negli ultimi decenni l’India ha acquisito un rilevante vantaggio (i suoi tecnici informatici sono i più bravi del mondo!), grazie al suo inesauribile bacino di manodopera qualificata.
Occorrerà qualche esempio utile per capire che cosa ci attende. Aadhaar, il sistema di identificazione digitale indiano, oggi copre all’incirca l’intera popolazione di 1,4 miliardi di anime. Una statistica, quindi, di cui l’intero Occidente non ha neanche la più pallida idea, per la risoluzione di problemi complessi di storage, pattern-recognition e così via, che l’India ha già dovuto affrontare e risolvere e che oggi è pronta a mettere a disposizione di chiunque lo voglia (autocrazie, democrature e similaria, europee, occidentali e asiatiche, Russia compresa). L’altro versante della conquista tecnologica da parte dell’India è rappresentato dalle transazioni bancarie e finanziarie rese possibili dal suo “United Payment Interface (Upi)” che è passata da un miliardo di transazioni del 2019 ai 10 miliardi del 2023.
L’indiano “DigiLocker”, poi, è un warehouse, o magazzino online di Big Data, contenente un insieme gigantesco di file e record, come patenti di guida e pagamenti fiscali, tale da aver reso ben più fluida l’elefantiaca pubblica amministrazione indiana, nota per le sue incredibili inefficienze e angherie verso i cittadini-utenti. Galvanizzato da questi indubbi e rilevanti successi domestici, Narendra Modi è intenzionato a esportare verso il resto del mondo queste sue meraviglie informatiche per farne, alla cinese, un “vettore di influenza” e un successo diplomatico a basso costo, rendendo più che felici le software-house nazionali che possono così mostrare i loro gioielli al resto del mondo.
Tuttavia, è chiaro che l’auto-promozione o gli accordi bilaterali non possono bastare per soddisfare le ambizioni nazionalistiche di Modi, cosicché l’occasione della presidenza indiana del G20 ha rappresentato un ottimo trampolino di lancio per il suo Dti. Infatti, in base a quanto stabilito nel documento comune finale è prevista l’adozione di una infrastruttura “per lo sviluppo, la diffusione e la governance del Dti” e l’adozione del piano proposto dall’India per la realizzazione di un contenitore digitale globale (o “global repository) per i prodotti Dti. A questa iniziativa hanno aderito il Programma per lo Sviluppo delle Nazioni Unite, la Banca Mondiale e la Bill & Melinda Gates Foundation. Niente male, come si vede.
Ovviamente, gli obbiettivi del Dti indiano sono i paesi in via di sviluppo dell’Africa e dell’Asia (e non solo loro), futuri ed entusiasti acquirenti dei sistemi informatici indiani per l’identificazione personale e la tecnologia dei pagamenti digitali. Ovviamente, sono previsti collegamenti (linkages) tra Upi domestici di altri Paesi dove è maggiore il numero di indiani espatriati per motivi di lavoro, rendendone così molto più agevoli le rimesse relative. Rimangono tuttavia da verificare alcuni importanti problemi di sicurezza e di inviolabilità dei sistemi Dti e Upi indiani, e noi qui in Europa faremmo bene a stare in guardia, prima di lasciarci prendere in trappola! Di fatto, il Grande Fratello indiano è pronto a soppiantare quello mandarino e, di certo, per noi non saranno tutte rose e fiori.
Aggiornato il 05 dicembre 2023 alle ore 11:11