Tra le numerose opzioni per illudere la massa o per allargare i propri confini territoriali, il referendum farsa è una di quelle più utilizzate. Così, vediamo la Russia che nel 2014, dopo un giudizio popolare ha annesso la Crimea. E nel 2022, dopo aver occupato le regioni del Donetsk e del Luhansk, con una consultazione a sanatoria ha portato a ventiquattro le sue Repubbliche. Domenica, tramite un referendum che il più delle volte è ovunque una forma di doping politico per il “gregge umano”, anche il Venezuela di Nicolás Maduro ha suggellato un’ipotesi di proto-annessione della ricca regione dell’Essequibo, appartenente alla Repubblica cooperativa di Guyana.
La questione della regione dell’Essequibo non è complessa, ma resa tale per la vaghezza con cui è stata affrontata soprattutto negli ultimi sei decenni. Brevemente, il Venezuela rivendica da quasi duecento anni questo territorio, spesso chiamato Guayana Esequiba, che ha una estensione di 159.500 chilometri quadrati, quindi oltre i due terzi della Guyana, dove vivono centoventicinquemila anime, cioè un quinto della popolazione totale. Caracas ritiene che il fiume Essequibo rappresenti il confine naturale tra Venezuela e Guyana, come era nel 1777, all’epoca dell’impero spagnolo. Ma la Guyana asserisce che il confine fu stabilito durante l’era coloniale inglese e che sia stato ratificato nel 1899 da una Corte arbitrale. Dopo il 1966, data dell’indipendenza dalla Gran Bretagna, proseguì la questione territoriale. La Guyana, membro Commonwealth, ha poi chiesto alla Cig – Corte internazionale di giustizia nota anche con il nome di Tribunale internazionale dell’Aia, massimo organo giudiziario delle Nazioni Unite – la ratifica del confine tracciato dai britannici e mai convalidato. Una semplificazione, questa, di una annosa querelle che sul palcoscenico ha visto – e vede – più aspetti: gli Stati Uniti che giocano sulla politica della Bolivia; la Gran Bretagna che non si stacca dal ruolo di ultimo colonizzatore; Venezuela e Guyana che portano avanti la questione dell’Essequibo sia per fattori economici enormi che di sopravvivenza politica.
Comunque, già da alcuni mesi Georgetown, capitale della Guyana, aveva richiesto al Tribunale internazionale dell’Aia di intervenire per non fare celebrare il referendum, fallendo nell’intento. In ogni modo, secondo il Governo venezuelano, domenica 3 dicembre i “sì” hanno ottenuto una vittoria schiacciante. Così Elvis Amoroso, presidente del Consiglio elettorale nazionale venezuelano, già sorprendentemente alle 22 ha annunciato i risultati del referendum consultivo organizzato sull’Essequibo. Oltre il 95 per cento dei venezuelani ha risposto affermativamente alle cinque domande referendarie. Il presidente Maduro, dal canto suo, ha immediatamente accolto con favore questa giornata elettorale, descrivendola come un successo totale per il Venezuela e la democrazia. Maduro ha ovviamente ostentato partecipazione, interesse, convinzione da parte della popolazione circa la portata del referendum. Di contro, gli osservatori internazionali e l’opposizione politica venezuelana hanno parlato di disattenzione e disinteresse verso questa consultazione, traducendo la partecipazione popolare in “sporadiche presenze”.
Non indugiando sulla questione dell’affluenza, insignificante quasi ovunque, e nemmeno sull’utilità sociale dell’istituto referendario, banalmente e cronologicamente fonte di falsi storici clamorosi, la realtà è che il presidente venezuelano abbia utilizzato questo “allucinogeno politico”, come Vladimir Putin e altri, per tentare di rimettere in discussione una regione che ha straordinarie riserve di petrolio, almeno 10 miliardi di barili. E che al largo delle sue coste dispone di più petrolio offshore di quello degli Emirati arabi uniti e del Kuwait messi insieme. Va ricordato, altresì, che dopo la prima scoperta di questi depositi – nel 2015 – la Guyana ha registrato una crescita economica improvvisa: oltre il 60 per cento nel 2022 e una previsione di quasi il 40 per cento per il 2023. Inoltre, questo referendum per Maduro, celebrato a meno di un anno dalle elezioni presidenziali del 2024, ha assunto l’aspetto di un test per il suo potere e di un utile supporto politico.
Infine, va rammentato che il presidente del Guyana, Mohamed Irfaan Ali – musulmano praticante, primo presidente islamico di uno Stato sudamericano arrivato al potere solo con il 7 per cento della popolazione islamica del Paese – ha descritto il referendum come una minaccia per l’esistenza della nazione. In più, ha assicurato che sarà la diplomazia a lavorare, essendo in una posizione di forza. Affermazione obbligatoria, ma che cela una realtà di debolezza strategica, in quanto il Venezuela ha a disposizione un esercito composto da effettivi e da paramilitari di notevole consistenza. Oltre possedere una flotta aerea e navale, i carri armati, i mezzi pesanti. Mentre la Guyana può contare solo su poche migliaia di uomini e nessun equipaggiamento pesante. Basterà a Mohamed Irfaa Ali il fatto che il suo Paese sia membro del Commonwealth – e che quindi potrebbe essere supportato da Londra e da Washington – per scongiurare un intervento militare venezuelano?
Aggiornato il 05 dicembre 2023 alle ore 09:40