Iran: la Mezzaluna sciita (calante)

La sensazione che il regime iraniano rischi seriamente il collasso è dimostrata pure dai provvedimenti adottati dal Governo di Teheran circa il suo bilancio nazionale. Così, in un contesto dove la società è in fibrillazione e l’economia sta crollando, gli ayatollah spostano i fondi delle casse nazionali verso la sicurezza, la propaganda, gli Enti militari e di polizia, a svantaggio del potere d’acquisto della popolazione e di quel minimo di servizi pubblici ancora accessibili.

La strategia dell’ayatollah Alì Khamenei, guida suprema della Rivoluzione islamica, è quella di dare il colpo di grazia, non solo fisico ma anche economico, all’inarrendevole popolo iraniano. Infatti, nel nuovo bilancio dello Stato messo in atto dal regime ci sono provvedimenti come la riduzione dei salari. Questi risparmi, ora devoluti sui sistemi di sicurezza della struttura governativa, andranno a incrementare i fondi alle forze armate, al fine di reprimere più efficacemente le proteste in atto nel Paese. A tal proposito, domenica 22 gennaio Ebrahim Raïssi, il presidente ultraconservatore dell’Iran, ha presentato in Parlamento le nuove priorità del bilancio 2023-2024, chiarendo che sarà affrontata la problematica del crollo della valuta iraniana (oggi un euro vale 45880 rial), la lotta contro l’inflazione galoppante e, di conseguenza, provvederà ad aumentare le risorse per i sistemi di sicurezza statali, per le istituzioni religiose e per la propaganda. Quindi, il trinomio – con sfumatura sacrale – “sicurezza, religione e propaganda” assorbirà i fondi nazionali. Si tratterà di una nuova arma del regime per mettere ancora più in crisi il tenore di vita degli iraniani, sia quelli che hanno il coraggio di manifestare e sia coloro che hanno paura di esporsi. Tutto ciò in un momento della storia dell’Iran post-Scià dove è senza precedenti il rigetto che la popolazione esprime verso il regime.

Ebrahim Raïssi ha tenuto a sottolineare, inoltre, che agirà verso una svalutazione delle monete estere, sul prezzo dell’oro e su tutti i beni di consumo ritenuti di lusso o tendenzialmente tali, che subiranno una diminuzione del loro valore. Tuttavia, Raïssi nella sua analisi del programma economico del 2023, oltre che gli eclatanti e farneticanti annunci, non ha specificato la strategia economica che adotterà per raggiungere questo obiettivo. Intanto, a fine dicembre il responsabile della Banca centrale della Repubblica islamica dell’Iran, il 44enne Ali Saleh-Abadi, ha dovuto dare le dimissioni “forzate” con la motivazione, addebitatagli dal regime, di non saper controllare le fluttuazioni del rial. Ma, probabilmente, il suo auto-licenziamento è stato causato dalla volontà del regime di poter controllare la valuta iraniana in modo diverso. È comunque vero che nell’ultimo quinquennio il rial ha perso dieci volte il suo valore rispetto al dollaro. Per contro, sono aumentati di dieci volte i beni di consumo primari.

Peraltro, circoscrivere il tramonto del regime solo osservando il Paese non dà una piena coscienza di quanto la “mezzaluna sciita”, guidata dall’Iran, sia in una netta fase calante. Così, possiamo notare come versino in gravi difficoltà gli Stati dove è presente la confessione sciita “disegnata” dall’Iran. In Iraq (la zona sud di Baghdad è prevalentemente sciita) il Governo non gestisce direttamente i traboccanti petrodollari, in quanto il suo conto in valuta estera “alberga” nella Federal Reserve di New York. A onor del vero, va ricordato che questo conto, per evitare che potesse essere sfruttato dall’Isis, è congelato da metà del 2015. Inoltre, nel quadro delle sanzioni che martellano l’Iran, Washington monitora attentamente il flusso di denaro che concede al Governo iracheno. Una severa sorveglianza che strozza i rapporti economici di Baghdad con Teheran. Baghdad, difatti, è costretta ad acquistare da Teheran in dinari iracheni. Questo ha causato un crollo del valore del dinaro e il tracollo del rial iraniano.

La Siria alawita, che fa riferimento allo sciismo iraniano (anche se l’alawitismo, in realtà, potrebbe configurarsi anche come un’altra “religione”), è sotto severe sanzioni politiche ed economiche, sia internazionali che statunitensi. Il Libano ha una classe politica al potere tendenzialmente mafiosa, che ha saccheggiato metodicamente il Paese con l’avallo del partito Hezbollah. Le forze politiche si sono divise il ricco bottino libanese finanziato anche dalla comunità internazionale, considerando le interessanti “interferenze” di Damasco. Infine, faccio presente che anche in Yemen, investito dal 2014 dalla guerra civile, si stanno massacrando gli sciiti Huthi supportati da Teheran contro i governativi appoggiati da Riad. In tutte queste aree sciite albergano il disordine economico, la precarietà istituzionale, la guerra, oltre la “mano al collo” del dollaro Usa.

Insomma, in questo inizio anno la mezzaluna sciita sembra che vacilli più a causa del peso del dollaro che dei vari assalti dei suoi nemici, perpetrati con vari strumenti. Quindi, si tratta di un concreto tramonto della mezzaluna sciita? Probabilmente sì, anche se il regime iraniano sta tentando di fermare la parabola discendente, mettendo in campo anche il bilancio dello Stato, il peso delle ribellioni e la complementare congiuntura economica negativa offuscano quella poca luce che, artificialmente, gli ayatollah cercano di mantenere accesa, magari con l’adozione di un disperato bilancio nazionale.

Aggiornato il 31 gennaio 2023 alle ore 09:43