Iran, i processi farsa e la follia delle autorità

Le proteste antigovernative non cessano in Iran. E sono proseguite di pari passo con il clima di terrore che trasuda dai pori del tessuto del Paese, dove addirittura qualcuno è arrivato a dire che la colpa della siccità è da attribuire alle donne che non intendono indossare il velo “secondo il precetto islamico”. Insomma, se non piove la “responsabilità” è di chi “offende Dio”. Questo quanto riportato dal Messaggero che ha ripreso l’intervento dell’imam della città di Karaj, Mohammad-Mehdi Hosseini Hamedani, il quale avrebbe aggiunto “non si può pensare di vivere in un Paese islamico quando si entra in alcune istituzioni, centri commerciali, farmacie, che servono donne che hanno tolto l’hijab”.

Uno scenario, questo, che chiamarlo drammatico è davvero poco. E che sta correndo in parallelo con le condizioni disumane, come denunciato da ong e attivisti, di chi è stato tratto in arresto, a seguito delle dimostrazioni che da quattro mesi infiammano il Paese e di chi è stato condannato alla pena capitale.

Prendiamo il caso, ad esempio, di Mohammad Mehdi Karami, 22 anni, impiccato il 7 gennaio dopo essere finito dietro le sbarre per aver preso parte alle manifestazioni contro il Governo. Il giovane, come fatto sapere dalla Bbc Persian, prima di ricevere la condanna a morte ha potuto difendersi per un tempo inferiore ai 15 minuti. Ripetere insieme: q-u-i-n-d-i-c-i minuti. Non solo: non ha avuto la possibilità di scegliere un avvocato e gliene è stato assegnato un legale. I familiari del ragazzo, inoltre, non hanno potuto assistere al processo, bensì hanno visto solo il video dell’udienza che è stato fornito dalla magistratura: in quell’occasione il 22enne, apparso stressato, ha “confessato” di aver colpito con una pietra un componente delle forze paramilitari Basij durante le dimostrazioni di Karaj, a ovest di Teheran. Lo stesso giorno dell’esecuzione di Karami è stata eseguita la pena capitale di un altro dimostrante, il 39enne Seyed Mohammad Hosseini. Secondo il suo avvocato, Hosseini, che soffriva di disturbi bipolari, è stato torturato in carcere e picchiato, mentre era bendato e in manette.

In tale quadro dell’assurdo, dove i concetti di libertà e del diritto umano sono lontani anni luce dal loro significato, è emersa un’altra notizia. In sostanza, un tribunale iraniano ha condannato a sette anni e mezzo di reclusione un uomo che ha decapitato la moglie diciassettenne, nel febbraio del 2022, e che successivamente ha mostrato la testa della giovane, Mona Heidari, per le strade di Avhaz, nella provincia del Khuzestan. Il tutto è stato affermato dal portavoce della Magistratura, Massoud Setayeshi.

Come indicato dall’agenzia di stampa Irna, l’omicidio è stato catalogato come “delitto d’onore”. Il funzionario, tra l’altro, avrebbe raccontano che i genitori della giovane vittima “hanno perdonato l’omicida, Sajjad Heidarnava, che per questo motivo è stato condannato al carcere a causa dell’aspetto pubblico del crimine”. In un video diffuso sui social, secondo quanto appreso, si vedeva Sajjad Heidarnava camminare per strada, sorridente, con in mano la testa della moglie decapitata.

Mona Heidari, dodicenne, era stata promessa al suo marito (e cugino), poi sposato a 14 anni. All’epoca dell’omicidio aveva un figlio di tre anni. È morta a 17 anni. La causa? Un “delitto d’onore”.

Aggiornato il 18 gennaio 2023 alle ore 15:17