Energia: la fuga dei russi, cosa può succedere

C’è una paura nuova, cioè che i russi si stiano ritirando troppo velocemente e francescanamente, dal momento che non combattono quasi più. La deduzione è una: stanno preparando il lancio di un ordigno nucleare nel centro dell’Ucraina e per questo motivo allontanano i loro soldati. Si è parlato di un treno con materiale nucleare e il New York Times ha scritto che è “probabile” un “test” nucleare. Cosa succederà?

Vi sono diverse risposte come “lo sa solo Putin”, “pregate”, “è pazzo, quindi imprevedibile e nichilista”, “si crede forte come Sansone, quindi è disposto a suicidarsi con tutti i filistei”. Oppure “è come Hitler, che andò avanti per 4 anni, anche se dal ’41 in poi si era capito come sarebbe finita la guerra”, come scrive Nathalie Tocci su La Stampa. Tocci è relativamente ottimista: ricorda che la “dottrina russa” prevede l’uso del nucleare in quattro casi. Quello da collegare al contesto attuale si riferisce ad “attacchi diretti nel territorio russo”, ma solo se ciò “rappresenta una minaccia all’esistenza dello Stato”. Il che non è attribuibile alla riconquista di parte di quelle province ucraine che Vladimir Putin considera territorio russo in base alla sua (il)logica.

Paolo Alli su Formiche scrive che la mossa del cavallo per incastrare Putin può essere un accordo con la Cina in stile Yalta. È vero, ma la Cina ha quattro grandi problemi di diritto internazionale: da oltre 70 anni ha invaso il Tibet; reprime e massacra la popolazione musulmana dello Xinjiang; ha strangolato la rivolta di Hong Kong, la cui popolazione rivendicava la promessa autonomia dell’ex territorio inglese dopo il ritorno nella Matrigna patria. Infine, la Pechino putinizzata di Xi Jinping vorrebbe vampirizzare e impossessarsi dell’isola di Taiwan. Il rischio è di fare come il Jimmy Carter “pacifista” osannato dalle sinistre, che armò e rinforzò i taliban afghani contro l’invasione sovietica. Per giunta, Pechino ha di nuovo appoggiato la Russia all’Onu, nonostante i recenti distinguo dalle malefatte del dissennato presidente GasPutin, come viene chiamato citando il terribile Rasputin.

La Russia non è poi così isolata, se è riuscita a creare un nuovo fronte economico a danno dell’Occidente, dal momento che l’Opec+ ha deciso un calo della produzione di greggio allo scopo di far salire il prezzo. Gli Stati Uniti, ora, dovranno inghiottire il rospo chavista dei giacimenti di Maracaibo in Venezuela (di qualità non eccelsa) per compensare il calo. Ma il problema non è la carenza (anche se in Francia ci sono già distributori senza gasolio e benzina) quanto la speculazione sui prezzi.

La Russia, in Italia, gode di un altro piccolo successo: avendo infestato per anni politici, industriali e l’opinione pubblica, oggi risulta che i nostri concittadini sono gli unici nell’Unione europea a essere contrari (il 58 per cento) ad armare l’Abele ucraino contro il Caino russo (certo, se il pitone russo è assecondato – volontariamente o meno non importa – dal Papa, dai Cinque Stelle, dai giornali come La Verità e Il Fatto, non ci si poteva aspettare qualcosa di diverso). In Olanda, il 68 per cento degli intervistati è d’accordo per inviare armi a Kyiv; in Spagna il 65 per cento, mentre la media europea a favore del sostegno bellico è al 60 per cento. Con i cenci non si fanno abiti da sposa. Purtroppo, in Italia abbiamo una colossale ignoranza storica e politica. E siamo sempre pronti a salire sul carro del conduttore più cieco o assassino.

Come si è arrivati a ciò? La rivista di geopolitica “Limes”, in un numero del 2009 intitolato “Eu-Russia, il nostro futuro?”, già prediceva tutto: la crisi del gas, l’invasione dell’Ucraina (con una carta incredibile, vedi immagine), la Cina come sostituto della Ue nell’acquisto di gas russo, il risiko delle sanzioni e delle ritorsioni con la chiusura dei metanodotti. Adesso, Germania e nord-Europa propongono un price cap nazionale sul modello di Liz Truss, con un tetto alle bollette, mentre lo Stato paga la differenza ai distributori. Ma se la Germania investirà 200 miliardi, l’Italia potrà permettersene soltanto 25. Al posto del price cap comunitario, il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner, propone “acquisti comuni” (giusto, ma quando e come?). L’EcoFin ha approvato l’utilizzo del piano RePowerUe, redistribuendo 220 miliardi di fondi inutilizzati del Recovery fund per il sostegno alle bollette.

Il Consiglio d’Europa (forse) deciderà sul price cap richiesto dall’Italia con altri 14 Paesi Ue. È riaperto il gasdotto russo tra Austria e Tarvisio, ma comunque vada la Russia ha già ridotto del 90 per cento l’afflusso in Italia, che era di 30 bcm (miliardi di metri cubi). Gli altri gasdotti “italiani” sono: il Tap in Puglia (12 bcm); in Piemonte quello dal Mare del Nord Transitgas (10 bcm); in Sicilia il Transmed dall’Algeria (30 bcm) e il Greenstream (8 bcm) dalla Libia.

L’Algeria (primo fornitore col 30 per cento del totale) mantiene l’impegno di un’extra fornitura di 4 bcm nel 2022, con un outlook in crescita dal 2023. Eni ha operato molto bene in Costa d’Avorio (100 bcm in un pozzo e molto di più altrove). Se entro marzo i rigassificatori saranno cinque invece dei tre attuali (che producono 15,25 Bcm annui), potremo comprare 10 miliardi di metri cubi in più già quest’inverno (nel 2023-2024 si arriverà a 17 bcm, e 22 miliardi nell’inverno 2024-2025). Anche se non raddoppieremo in un anno la portata del gasdotto Tap (navi della Marina militare sorvegliano l’Adriatico), avremo energia sufficiente grazie agli stoccaggi, pari a 16 bcm. Però la questione del prezzo degli idrocarburi rimane irrisolta.

Lo scandalo è che negli anni Novanta estraevamo 30 miliardi di metri cubi ogni anno, mentre oggi ne ricaviamo 4,5 miliardi appena. Non sappiamo nemmeno quanto gas ci sia nei nostri giacimenti, nonostante l’indagine svolta con il piano Pitesai. Il Mite (Ministero della Transizione ecologica) parla di 380 bcm, altri vanno a 250 bcm. Tra Adriatico, Basilicata e Canale di Sicilia si potrebbe dare una sveglia a coloro che si sono scagliati sempre contro tutto ciò che era idrocarburi, ma mai contro il gas russo. In Germania, i Verdi ora hanno fatto retromarcia in favore del carbone. E così in nome dell’ambiente si è danneggiato l’ambiente, non solo in Germania.

Aggiornato il 08 ottobre 2022 alle ore 10:59