A Bali, in Indonesia, venerdì otto luglio si sono incontrati gli Stati del G20 che rappresentano le venti principali economie mondiali. L’appuntamento doveva essere il posto giusto per un confronto tra i rappresentanti russi, europei, statunitensi e i Paesi “non allineati”, i quali hanno evitato di prendere una posizione netta dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Al vertice era attesa la presenza dell’immortale, diplomaticamente parlando, ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, a capo del dicastero da sedici anni. Dall’inizio della guerra, il 24 febbraio, era la prima volta che Lavrov incontrava tutti i suoi omologhi del G20. Quindi grande occasione, per i Membri europei e statunitensi, di sottolineare l’isolamento di Mosca, che è più nella comunicazione dei media internazionali che nella realtà dei fatti. Ricordo che tra gli Stati membri del G20 pesi massimi come India, Cina e Sudafrica si astennero dal voto, organizzato dall’Onu all’inizio di marzo, che condannava l’aggressione e chiedeva a Mosca di cessare le ostilità. Altri, come la Turchia, hanno condannato l’attacco russo, ma non hanno minimante sanzionato il regime di Vladimir Putin.
All’apertura dei lavori il ministro degli Esteri indonesiano, Retno Marsudi, ha affermato: “È nostra responsabilità porre fine alla guerra il prima possibile e risolvere le nostre divergenze al tavolo dei negoziati, non sul campo di battaglia”. Poi ha continuato, sostenendo che l’impatto del conflitto è evidente in tutto il mondo su cibo, energia e bilanci. Ma, soprattutto, colpisce i “Paesi poveri” e quelli in via di sviluppo. I temi principali all’ordine del giorno avrebbero dovuto riguardare i rischi della scarsità alimentare globale e l’impennata dei prezzi dell’energia, esacerbati dalla neo-guerra europea.
Durante la riunione del G20 e nel centotrentacinquesimo giorno di conflitto, l’intensità dei bombardamenti sul fronte orientale dell’Ucraina è pesante, soprattutto sulle città ancora sotto controllo ucraino, come nell’oblast (unità amministrativa) di Donetsk, Sloviansk e Kramatorsk, che sono nel mirino delle forze russe per completare l’occupazione del Donbass e nella regione di Kharkiv, come dichiarato dal governatore locale, Oleg Sinegubov. A sud i bombardamenti si stanno intensificando nella regione di Mykolaiv e intorno alla città di Kherson, che è stata occupata dai primi giorni di guerra ma dove, secondo Kiev, ci sono contrattacchi ucraini. Inoltre, gli attacchi russi hanno devastato i campi di grano situati negli oblast di Zaporizhzhia e Dnipropetrovsk, come scrive The Kyiv Independent. Mykola Lukashuk, capo del Consiglio regionale di Dnipropetrovsk, ha dichiarato che circa 20 ettari di grano sono stati incendiati giovedì sera e il ministero della Difesa ucraino ha reagito, dichiarando che “non è il grano ucraino che va a fuoco, è la sicurezza alimentare del mondo”.
Tuttavia, al di là della “scaletta” degli interventi, la diplomazia statunitense ed alcune europee, sono state subito pressanti verso gli altri rappresentanti del G20, con l’intento di persuaderli a non aggirare le sanzioni imposte alla Russia, temendo spaccature tra l’Occidente e il resto del mondo nel confronto con Mosca. In pratica, la strategia della diplomazia occidentale, ma soprattutto di quella francese e di alcuni dei suoi più credibili partner come la Germania, ha l’obiettivo di portare avanti la cooperazione multilaterale senza legittimare l’aggressione russa. Ma è evidente che se le geostrategie occidentali non hanno voluto o non sono state capaci di congelare la crisi con la Russia prima del 24 febbraio, era segnato che anche questo vertice fallisse.
Così Lavrov ha trascorso gran parte del tempo dedicato ai negoziati non nella “stanza dei colloqui”, ma fuori, sottolineando che al momento non c’è alcuno spazio per il dialogo da parte del Governo russo. Lavrov, giovedì, aveva incontrato l’omologo cinese Wang Yi, elogiando Pechino, ma il ministro cinese ha semplicemente indicato che la Cina si è opposta a qualsiasi atto volto ad esacerbare il confronto tra i blocchi e creare una nuova Guerra fredda. Nel suo intervento, Wang Yi ha detto che la Carta delle Nazioni Unite dovrebbe essere al centro delle relazioni internazionali. Lavrov ha lasciato la conferenza a mezzogiorno di venerdì, dopo aver parlato con Catherine Colonna, omologa francese. Sabato Yi ha poi incontrato il segretario di Stato americano Antony Blinken. Il dialogo si è basato sulla salvaguardia delle relazioni bilaterali, non proprio lineari, ma anche sulla possibilità di una cooperazione, anche in ambito euroasiatico.
Blinken, aveva già incontrato ministri di Francia e Germania e un rappresentante britannico per parlare di questa guerra ritenuta “ingiustificabile e non provocata”, ma si era rifiutato di incontrare separatamente il suo omologo russo, denunciando la responsabilità della Russia nella crisi alimentare ed energetica mondiale, chiedendo, inoltre, a Mosca di autorizzare l’uscita dei cereali dall’Ucraina. Blinken ha poi sottolineato che oggi si è alzato un coro da tutto il mondo, non solo dagli Stati Uniti, per far cessare l’aggressione russa. Ma la risposta di Sergei Lavrov è stata che la Russia “non correrà” dietro a Washington per avere colloqui. Lavrov ha sbattuto la porta in faccia al G20 sulla linea prevista dalla “politica” russa. Di fronte alle disapprovazioni dei suoi partner ha accusato l’Occidente di aver sprecato un’opportunità per affrontare le questioni economiche globali, dando spazio alle critiche “convulse” sul conflitto.
Così è finito l’assurdo G20, che sarà G19, per ora. Inoltre, prima di prendere l’aereo per Mosca, Sergei Lavrov ha annullato una sessione con il suo equivalente ucraino, Dmytro Kuleba, uscendo definitivamente da una presenza online quando l’omologa tedesca, Annalena Baerbock, ha criticato l’aggressione russa in Ucraina. La Baerbock ha inoltre affermato che Mosca “non è interessata” a un dialogo con il G20. Quindi, tra rifiuti incrociati di colloquiare, si è spenta la speranza che il summit potesse aprire un tavolo per una tregua della guerra. Ma, come sul Titanic, altri rappresentati dei dicasteri degli Esteri simulavano improbabili dialoghi in inglese con le quarte file della diplomazia internazionale.
Aggiornato il 12 luglio 2022 alle ore 10:05